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Un Nobel dietro le sbarre

Dal 2008 è stato silurato e interdetto dai pubblici uffici. Vive in prigione. Soffre ogni giorno, perché gli hanno impedito di poter esprimere il proprio pensiero, manifestazione principale della personalità umana. Ma chi è veramente Liu Xiaobo, il primo cinese insignito del Nobel della Pace?
Classe 1955, di matrice cristiana, Liu consegue la laurea in letteratura e il dottorato alla Normale di Pechino. Nel suo cuore, la passione per l’attivismo pacifico e non violento. Reclamando più democrazia e rispetto per i diritti umani, Xiaobo è un sopravvissuto del massacro di Piazza Tiananmen dell’89. Le molteplici condanne ricevute, per via della sua propaganda antiregime, hanno fatto sì che la sua vita si dipanasse quotidianamente sul filo del rasoio.
Firmatario della Charta 08 (ispirata alla cecoslovacca Charta 77 e poi fatta sparire dalla censura di regime), Liu Xiaobo, assieme ad altri 303 intellettuali, denunciava che “l’approccio del governo cinese alla democratizzazione si è rivelato disastroso” e si chiedeva come fosse possibile intraprendere un tale percorso sotto il pesante mantello di un regime autoritario. Nell’amaro pamphlet si elencavano alcune delle molteplici violazioni perpretrate dal Partito Comunista, un partito che coi suoi mille tentacoli ha contaminato nel corso degli anni ogni risorsa economica, politica e sociale, a partire dalle istituzioni. Tra i vari episodi esecrabili, la campagna contro la destra del ’57, il Grande Balzo in avanti del biennio ’58-’60, le proibizioni della rivoluzione culturale fino al ’69, il massacro del 4 giugno 1989, la cacciata del Dalai Lama e la repressione di tutte le religioni non autorizzate.
Un dissidente, dunque. Un personaggio talmente scomodo da essere spedito in un vero e proprio campo cd. “di rieducazione” e successivamente, visto che non si riusciva proprio a farlo tacere, in galera. Finché la Commissione del Nobel della Pace, quella con sede a Oslo, decide di dare proprio a lui il celeberrimo Premio. Sembra chiaro ormai che le nomine avanzate da tale Commissione siano destinate a suscitare scalpore, dopo che l’anno scorso fu insignito niente popo di meno che Obama, a neanche un anno di insediamento alla candida casa.
Eppure, questa volta noi occidentali siamo tutti d’accordo sulla bontà della scelta. Quelle che sono veramente arrabbiate, invece, sono le autorità cinesi, che lo hanno definito un “criminale”, uno che “ha ripetutamente violato le leggi interne” e che dunque non vanterebbe quella levatura morale che richiede il Premio stesso. Certo, loro si sono sentite legittimamente invase nella peculiare competenza interna a imprigionare chiunque non condivida la loro linea di governo. Mentre i dissidenti si sono levati in coro nella speranza che il profilo di Liu Xiaobo venga in tal modo reso noto alla popolazione cinese, squarciando quel velo di silenzio che impedisce ogni sorta di esternazione di colore opposto al rosso, e magari, con un po’ di pressing, facendogli ottenere la liberazione.

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