Arriva il Natale. Arriva, come accade ormai da altre 20 anni, anche il cinepanettone. Ovvero il film comico che sradica gli italiani dalla poltrona e li obbliga ad invadere le sale cinematografiche del belpaese. Quel film che la critica non sopporta e che il pubblico continua ad amare.
Diciamo la verità: forse non si tratta di vero amore. Il cinepanettone è semplicemente un rito, quasi un’abitudine. Sta tra l’albero e il presepe. Tra il torrone e lo spumante. E’ una saga, nata sul finire dello scorso millennio, a cui tanti non vogliono rinunciare. Con un solo obiettivo: abbandonare per due ore le tavole imbandite e digerire le abbuffate con qualche ingenua e sonora risata. Punto. Chi si sforza di analizzare il valore artistico o addirittura culturale e sociale di queste opere, forse fa solo buchi nell’acqua. Perché i vari “Natale a” non hanno storia e memoria. Probabilmente non diventeranno mai un cult, come avviene con i famigerati B-movies anni ’70 e ’80, che fanno impazzire anche i teenagers di oggi e che continuano a spopolare su internet.
I cinepanettoni sono altra cosa. Vivono al di fuori del cinema stesso. Sono cerimonie popolari celebrate dentro e vicino il grande schermo. Con il loro giro di affari danno anche una mano all’industria, ma la sala è solo un mezzo e non un fine.
Anche tempi e target sono anomali: tutto finisce con l’arrivo dell’Epifania. Per poi ripartire a dicembre dell’anno successivo. Negli altri mesi non vi è nessuna traccia. E buona parte di coloro che assisteranno alle avventure più o meno esilaranti di De Sica e compagni, difficilmente torneranno al cinema prima del prossimo Natale.
Quindi se si valuta la nostra commedia attraverso Natale a New York, a Miami, in India o a Beverly Hills, si commette un grosso errore. Loro sono un fenomeno a parte. Per certi versi glorioso, ma alieno ai movimenti culturali della tradizione artistica italiana.
Diciamo la verità: forse non si tratta di vero amore. Il cinepanettone è semplicemente un rito, quasi un’abitudine. Sta tra l’albero e il presepe. Tra il torrone e lo spumante. E’ una saga, nata sul finire dello scorso millennio, a cui tanti non vogliono rinunciare. Con un solo obiettivo: abbandonare per due ore le tavole imbandite e digerire le abbuffate con qualche ingenua e sonora risata. Punto. Chi si sforza di analizzare il valore artistico o addirittura culturale e sociale di queste opere, forse fa solo buchi nell’acqua. Perché i vari “Natale a” non hanno storia e memoria. Probabilmente non diventeranno mai un cult, come avviene con i famigerati B-movies anni ’70 e ’80, che fanno impazzire anche i teenagers di oggi e che continuano a spopolare su internet.
I cinepanettoni sono altra cosa. Vivono al di fuori del cinema stesso. Sono cerimonie popolari celebrate dentro e vicino il grande schermo. Con il loro giro di affari danno anche una mano all’industria, ma la sala è solo un mezzo e non un fine.
Anche tempi e target sono anomali: tutto finisce con l’arrivo dell’Epifania. Per poi ripartire a dicembre dell’anno successivo. Negli altri mesi non vi è nessuna traccia. E buona parte di coloro che assisteranno alle avventure più o meno esilaranti di De Sica e compagni, difficilmente torneranno al cinema prima del prossimo Natale.
Quindi se si valuta la nostra commedia attraverso Natale a New York, a Miami, in India o a Beverly Hills, si commette un grosso errore. Loro sono un fenomeno a parte. Per certi versi glorioso, ma alieno ai movimenti culturali della tradizione artistica italiana.