Sì, in molti lo hanno pensato. Altri lo hanno detto chiaramente. Altri ancora, più prudenti, lo hanno lasciato intendere. Alcuni si sono limitati ad evidenziare le coincidenze. Perché, ironia delle sorte, ai tempi dell’ultimo, grande assalto mediatico al Cavaliere ecco che nelle sale approda Cetto La Qualunque, alias Antonio Albanese.
Ovvero il peggio che la politica e questo Paese potrebbero mai offrire. In poche parole: cafone, incivile, ignorante, maschilista, arrogante e mascalzone. L’unica virtù del sindaco più improbabile d’Italia? La simpatia. Questa, grazie anche alla continua esaltazione del nazional popolare “pilu”, non gli fa certo difetto.
In effetti, se si confrontano tali caratteristiche con gli epiteti che quotidianamente la falange antiberlusconiana ci regala in tv, sui giornali e nei social network, non può sfuggire l’assonanza tra il personaggio di Albanese e il nostro premier.
Date le premesse, inevitabile è la conclusione: Silvio è Cetto. Cetto è Silvio. A tanti, i soliti noti, fa comodo credere che sia così. Basta però andare al Cinema per comprendere l’ennesimo inganno. “Qualunquemente”, film comico diretto da Giulio Manfredonia, racconta semplicemente il peggio dell’italiano medio.
Le povertà di un Sud abbandonato dalle sue stesse istituzioni, la deriva morale e la
rassegnazione di una terra in piena crisi economica e culturale. Non senza forzature e con i linguaggi surreali della parodia. Con quel gusto per il paradosso e per l’esagerazione che allontana progressivamente la trama dalla realtà.
La rende, non sappiamo fino a che punto volontariamente, poco credibile. Il vero obiettivo, centrato in parte, è quello di far ridere. Amplificando a dismisura i difetti dell’uomo e della società di oggi. Il potere e la politica fanno alla fine solo da sfondo.
Cetto La Qualunque li sfrutta per fare i suoi porci comodi, grazie alla complicità di un contesto a lui sin troppo favorevole. Deve per forza esserci un colpevole? Bisogna ricondurre il tutto al tanto chic e progressista “attacco al sistema”?
Beh, allora abbassate il dito: in questa pellicola la denuncia è diffusa e non riguarda il presidente del Consiglio, ma tocca tutti noi. Dal cittadino che si fa pagare in cambio del voto al giornalista “comprato” con una escort, dal parroco che cede ai ricatti di uno pseudo politico alle forze dell’ordine che si fanno facilmente infinocchiare da un comune delinquente che, per sfuggire all’immediato arresto, intesta le proprietà al malcapitato figliolo.
Nessuno, pertanto, potrebbe sentirsi escluso, immacolato, legittimato a fare la morale al prossimo suo. Ma sul grande schermo, va di nuovo sottolineato, viene proiettata la commedia dell’assurdo, che non si presta facilmente a dibattiti impegnativi e ad ulteriori approfondimenti.
Che non può certo essere utilizzata per spiegare meglio le cronache d’Italia, strumentalizzata (come tanto altro) per meri interessi di parte. Trovatevi in fretta un altro “eroe” per affossare il grande nemico di Arcore.
Cetto La Qualunque, di tutta questa storia, se ne sbatterebbe “una beata minchia”
Ovvero il peggio che la politica e questo Paese potrebbero mai offrire. In poche parole: cafone, incivile, ignorante, maschilista, arrogante e mascalzone. L’unica virtù del sindaco più improbabile d’Italia? La simpatia. Questa, grazie anche alla continua esaltazione del nazional popolare “pilu”, non gli fa certo difetto.
In effetti, se si confrontano tali caratteristiche con gli epiteti che quotidianamente la falange antiberlusconiana ci regala in tv, sui giornali e nei social network, non può sfuggire l’assonanza tra il personaggio di Albanese e il nostro premier.
Date le premesse, inevitabile è la conclusione: Silvio è Cetto. Cetto è Silvio. A tanti, i soliti noti, fa comodo credere che sia così. Basta però andare al Cinema per comprendere l’ennesimo inganno. “Qualunquemente”, film comico diretto da Giulio Manfredonia, racconta semplicemente il peggio dell’italiano medio.
Le povertà di un Sud abbandonato dalle sue stesse istituzioni, la deriva morale e la
rassegnazione di una terra in piena crisi economica e culturale. Non senza forzature e con i linguaggi surreali della parodia. Con quel gusto per il paradosso e per l’esagerazione che allontana progressivamente la trama dalla realtà.
La rende, non sappiamo fino a che punto volontariamente, poco credibile. Il vero obiettivo, centrato in parte, è quello di far ridere. Amplificando a dismisura i difetti dell’uomo e della società di oggi. Il potere e la politica fanno alla fine solo da sfondo.
Cetto La Qualunque li sfrutta per fare i suoi porci comodi, grazie alla complicità di un contesto a lui sin troppo favorevole. Deve per forza esserci un colpevole? Bisogna ricondurre il tutto al tanto chic e progressista “attacco al sistema”?
Beh, allora abbassate il dito: in questa pellicola la denuncia è diffusa e non riguarda il presidente del Consiglio, ma tocca tutti noi. Dal cittadino che si fa pagare in cambio del voto al giornalista “comprato” con una escort, dal parroco che cede ai ricatti di uno pseudo politico alle forze dell’ordine che si fanno facilmente infinocchiare da un comune delinquente che, per sfuggire all’immediato arresto, intesta le proprietà al malcapitato figliolo.
Nessuno, pertanto, potrebbe sentirsi escluso, immacolato, legittimato a fare la morale al prossimo suo. Ma sul grande schermo, va di nuovo sottolineato, viene proiettata la commedia dell’assurdo, che non si presta facilmente a dibattiti impegnativi e ad ulteriori approfondimenti.
Che non può certo essere utilizzata per spiegare meglio le cronache d’Italia, strumentalizzata (come tanto altro) per meri interessi di parte. Trovatevi in fretta un altro “eroe” per affossare il grande nemico di Arcore.
Cetto La Qualunque, di tutta questa storia, se ne sbatterebbe “una beata minchia”
(Il Predellino).