“Il successo al botteghino di film come Benvenuti al Sud, Che bella giornata, La Banda dei Babbi Natale e Natale in Sudafrica – scrive Maurizio Acerbi sul Giornale – dimostra che l’industria cinematografica, tutto sommato, potrebbe sopravvivere tranquillamente anche senza il 3D”.
Il box office, infatti, parla sin troppo chiaro: Zalone è andato al di là di ogni più rosea previsione, battendo addirittura La vita è bella di Begnini, ultimo film italiano a conquistare gli americani e l’Oscar. La pellicola che vede come protagonista la strana coppia Siani-Bisio è in pratica già diventata un cult e l’ormai storico trio milanese, come il cinepanettone di De Laurentis, perde lo smalto di un tempo ma comunque resiste e incassa. Sicuramente più di altri celebrati prodotti nostrani.
Nell’articolo pubblicato lo scorso 14 gennaio, Acerbi pone quindi l’attenzione sul futuro del grande schermo in relazione alla nuova tecnologia.
Un anno fa, tra più o meno giustificati entusiasmi e squilli di trombe, arrivava nella sale Avatar, la “creatura” tridimensionale che doveva cambiare la storia del Cinema. In parte ci è riuscita, visti i guadagni e visto il dilagare dei film in 3D. Ma le vecchie e care commedie, numeri alla mano, la fanno ancora da padrone.
Non saranno pertanto gli effetti speciali a salvare il destino della settima arte? La questione, in realtà, non è meramente tecnologica.
Proprio il “capolavoro” di James Cameron, super favorito alla vigilia con ben nove nomination, ottenne dall’Academy Awards di Los Angeles solo le briciole: tre miseri riconoscimenti “tecnici” (Scenografia, Fotografia, Effetti visivi). Decisione che all’epoca face tanto scalpore. Ma che invece viene ampiamente giustificata dalla quasi pochezza della sua trama. Avatar è un film pieno zeppo non solo di strabilianti effetti ma pure di retorica: un polpettone politicamente corretto che fa leva su amori impossibili e demagogie ambientaliste.
Arrivo quindi al punto: il problema non è il 3D, novità che di per sé rischia col tempo di perdere fascino e passare di moda. Il nodo centrale è rappresentato piuttosto dai contenuti. Il pubblico vuole ironia, leggerezza, semplicità. Stanco dei soliti moralismi e delle noiose lezioncine di chi vuole spiegarci come stare al mondo, come votare e cosa mangiare, preferisce la superficialità di prodotti che non impongono verità assolute. Che regalano allo spettatore due ore rilassanti e piacevoli.
Attenzione: questo non è l’ennesimo segno del degrado dei tempi. Perché, vedi uno mostro sacro come Alberto Sordi, l’Italia si può raccontare benissimo con il sorriso, l’irriverenza, il gusto del paradosso. Sempre meglio di qualsiasi sermone radical chic.
Ma vallo a spiegare a quell’esercito di artisti “impegnati”, che reclamano quotidianamente finanziamenti dallo Stato e pretendono d’insegnarci cos’è il Cinema e cos’è la vita.