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Regioni rosse e malasanità: paura in Calabria per le acque di dialisi inquinate

Dalle regioni ‘rosse’ continuano a giungere pessime notizie sul fronte sanitario. Si tratta dell’ennesimo caso di malasanità dopo quelli registrati in particolare nella regione Calabria e dopo che la Puglia è coinvolta da settimane nelle inchieste che vedono la giunta Vendola nella bufera.
Alcuni giorni fa la Gazzetta del Mezzogiorno ha dato conto di un fatto allarmante: acque di dialisi inquinate nell’ospedale lucano di Venosa, provincia di Potenza. E si tratta – a quanto riferisce il quotidiano – di un inquinamento «pesante», con il rinvenimento di «batteri di coliformi totali e lieviti» nei campioni di acque di dialisi. Una situazione, insomma, ben più grave di quella che due anni fa portò alla chiusura del centro dialisi dell’ospedale di Muro Lucano. In particolare nelle analisi fatte dall’Arpab sull’impianto di dialisi dell’ospedale di Venosa, si è avuto un «esito sfavorevole» con il rilevamento della «presenza di batteri coliformi totali e lieviti» nel campione di acqua prelevato nella «sala contumaciale», ossia la sala utilizzata a fine di prevenzione della infezione delle malattie a trasmissione parenterale (come l’epatite B o l’Aids) in cui vengono trattati esclusivamente i soggetti affetti da queste patologie.
E il fatto che si possa trattare di pazienti immunodepressi dovrebbe consigliare la massima cautela rispetto ai contatti con fonti di infezione. Se l’acqua di dialisi è inquinata e il filtro di dialisi non riesce a trattenere il batterio, si rischia che lo stesso agente patogeno passi nel sangue con conseguenze che vanno dalla batteriemia allo shock settico, con conseguenze anche estremamente gravi.
La presenza di acque di dialisi non conformi alle previsioni è stata riscontrata per ben due volte nello stesso punto di prelievo con l’aggravante che tra il prelievo della prima analisi e quello della seconda sono trascorsi poco meno di due mesi. Con tutti i rischi connessi.
Certamente i quasi cinquantamila emodializzati italiani non saranno sereni dopo la notizia di ciò che è avvenuto nel centro dialisi lucano. Persone che tre volte la settimana devono recarsi in ospedale o presso centri dialisi ad assistenza limitata per svolgere emodialisi per 4-5 ore, che hanno limitazioni nella alimentazione e nella introduzione di liquidi, che devono subire l’incannulazione della fistola arterovenosa con aghi non precisamente indolori (e con mille altri problemi), avrebbero la necessità di essere tranquilli in un ambiente protetto quale quello ospedaliero. Problemi legati alla sterilità delle acque non possono essere considerati una novità ma certamente nel 2009 ci si aspetterebbe almeno una rapida risoluzione dei quesiti che si pongono. Due brevi considerazioni sorgono spontanee, una tecnica, l’altra di carattere più generale. In primis se l’inquinamento è avvenuto solo in una sala dialisi evidentemente il problema insiste nelle tubature che portano l’acqua demonizzata e sterilizzata ai reni artificiali che sono li collocati e ciò sicuramente sarà stato valutato. L’impotenza dell’ufficio tecnico rispecchia invece un problema presente in molti nosocomi italiani ove, causa il collocamento a riposo di persone esperte e che conoscono le condizioni degli impianti (idraulici, elettrici etc), spesso persone apparentemente qualificate, ma prive di esperienza e a conoscenza dei lavori pregressi solo sulla carta, affrontano problemi già intrinsecamente difficili (e molto spesso ricorrono a costose consulenze esterne). E’ evidente come sia necessario avvicendare il personale con speciali avvertenze, affiancando il nuovo al vecchio operatore per un periodo sufficiente al passaggio di competenze ed a quel travaso di “memoria storica” di tutti i lavori che hanno mutato, nel tempo, le condizioni iniziali di una struttura sanitaria.
Di queste problematiche dovrà, certo, farsi carico il vice ministro Fazio. Ma sarebbe ora che i governatori regionali, la maggior parte dei quali in scadenza di mandato, agissero concretamente sanzionando le strutture e il personale colpevole di episodi disdicevoli come quello di Venosa. Non è più ammissibile assistere a casi come questo che pongono a rischio il fondamentale diritto alla salute.
 

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