Da un po’ di anni a questa parte, si fa avanti negli ambienti del centrodestra una teoria quasi delirante, che può essere sintetizzata più o meno così: Berlusconi è troppo leader, troppo carismatico, troppo amato, troppo comunicativo, troppo presente, troppo di troppo. La soluzione? Solo con lui se ne andranno tutti i problemi del centrodestra italiano. Bisogna quindi saper aspettare e sperare.
Da qualche mese a questa parte, c’è chi invece questo pensiero ha deciso addirittura di metterlo in pratica. Ed ecco che Silvio scompare dai manifesti, che il Cav diventa un “monarca assoluto” da contenere per il bene del Paese e delle destre. Ecco poi le Regionali del Pdl, fatte poco di B e tanto di apparato.
L’andazzo è chiaro: alcuni – purtroppo nemmeno pochi – esponenti del Popolo della Libertà vivono quotidianamente con l’ansia di diventare grandi e allontanarsi il più possibile dall’immagine ingombrante dell’ex imprenditore di Arcore. E’ l’ansia di essere politicamente corretti a tutti i costi, di conquistare le simpatie dei salotti buoni della cultura, di accontentare i puristi dell’intellettualismo, di dimostrare al mondo di sapere andare da soli.
Una sorta di complesso d’inferiorità che rischia di trascinare l’intero partito in una zona morta e di annientare tutte le energie positive che hanno favorito la nascita del progetto.
Ma attenzione: a marzo si vota. E di questo passo si rischia di non ottenere un risultato imponente contro un Pd agonizzante.
Bisogna quindi presto correre ai ripari. Recuperare il tempo perduto e porre di nuovo al centro della ribalta tutti i valori e i principi del berlusconismo. Gli stessi che hanno favorito, nel lontano ’94, la nascita di una grande coalizione alternativa alle sinistre e dato poi una spinta decisiva alla realizzazione del soggetto unico.
Non si può costruire il futuro dimenticando nel giro di qualche settimana quello che è stato il passato. Ovvero 16 anni di maggioranze e opposizioni guidate da Silvio Berlusconi, dalla sua tenacia e inesauribile voglia di cambiare l’Italia contro le solite lobbies conservatrici, dalla sua capacità di interpretare le esigenze del popolo meglio di chiunque e di realizzare concretamente gli ideali di una generazione. Rinnovando, inoltre, tempi, linguaggi e atteggiamenti.
E’ anche e soprattutto questo il bagaglio politico e culturale del Popolo della Libertà. Che nessun funzionario riuscirà mai a cancellare dalla memoria collettiva, neanche a colpi di fondazione o di distinguo.
Non si tratta di venerare o beatificare la persona. Ma di valorizzare piuttosto il suo successo umano e politico, per proiettarlo verso le sfide future.
Se si vuole davvero pensare al “dopo” e all’eredità, bisogna farlo ripartendo proprio dal Cavaliere e dalle tante nuove leve cresciute in questi anni seguendo il suo modello.
Da qualche mese a questa parte, c’è chi invece questo pensiero ha deciso addirittura di metterlo in pratica. Ed ecco che Silvio scompare dai manifesti, che il Cav diventa un “monarca assoluto” da contenere per il bene del Paese e delle destre. Ecco poi le Regionali del Pdl, fatte poco di B e tanto di apparato.
L’andazzo è chiaro: alcuni – purtroppo nemmeno pochi – esponenti del Popolo della Libertà vivono quotidianamente con l’ansia di diventare grandi e allontanarsi il più possibile dall’immagine ingombrante dell’ex imprenditore di Arcore. E’ l’ansia di essere politicamente corretti a tutti i costi, di conquistare le simpatie dei salotti buoni della cultura, di accontentare i puristi dell’intellettualismo, di dimostrare al mondo di sapere andare da soli.
Una sorta di complesso d’inferiorità che rischia di trascinare l’intero partito in una zona morta e di annientare tutte le energie positive che hanno favorito la nascita del progetto.
Ma attenzione: a marzo si vota. E di questo passo si rischia di non ottenere un risultato imponente contro un Pd agonizzante.
Bisogna quindi presto correre ai ripari. Recuperare il tempo perduto e porre di nuovo al centro della ribalta tutti i valori e i principi del berlusconismo. Gli stessi che hanno favorito, nel lontano ’94, la nascita di una grande coalizione alternativa alle sinistre e dato poi una spinta decisiva alla realizzazione del soggetto unico.
Non si può costruire il futuro dimenticando nel giro di qualche settimana quello che è stato il passato. Ovvero 16 anni di maggioranze e opposizioni guidate da Silvio Berlusconi, dalla sua tenacia e inesauribile voglia di cambiare l’Italia contro le solite lobbies conservatrici, dalla sua capacità di interpretare le esigenze del popolo meglio di chiunque e di realizzare concretamente gli ideali di una generazione. Rinnovando, inoltre, tempi, linguaggi e atteggiamenti.
E’ anche e soprattutto questo il bagaglio politico e culturale del Popolo della Libertà. Che nessun funzionario riuscirà mai a cancellare dalla memoria collettiva, neanche a colpi di fondazione o di distinguo.
Non si tratta di venerare o beatificare la persona. Ma di valorizzare piuttosto il suo successo umano e politico, per proiettarlo verso le sfide future.
Se si vuole davvero pensare al “dopo” e all’eredità, bisogna farlo ripartendo proprio dal Cavaliere e dalle tante nuove leve cresciute in questi anni seguendo il suo modello.
L’anima va messa in pace: il Pdl non può assolutamente rinunciare al fattore B. Verrebbero a mancare di fatto le sua fondamenta.