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L’Italia surreale (e vera) raccontata da Tornatore

Quella raccontata da Tornatore, in Baarìa, è un’Italia leggera, divertente, quasi surreale. Ma al contempo vera.  Non ci sono predicozzi, eccessivi moralismi. Manca il classico elogio del dramma.
E’ lo sguardo di un bambino che narra trent’anni di storia del paese siciliano, libero dai filtri dell’ideologia e della retorica del pessimismo. E’ una fabia, lunga e senza fine. Che racchiude la vita di Giuseppe, dall’infanzia alla vecchiaia. Un’esistenza che si interseca con i radicali mutamenti del Novecento. Dalla povertà alla liberazione del boom economico. Dalla lotta politica all’era postmoderna degli anni Ottanta.
La politica, appunto. Rivelata dal punto di vista dell’esperienza umana. Sottratta alla tipica faziosità, marchio di fabbrica del cinema di casa nostra. Ma ovviamente non c’è solo quella: ci sono gli amori, la famiglia, la morte, le speranze. La tradizionale rassegnazione o voglia di ricatto dell’uomo meridionale. E non poteva mancare la mafia. Fenomeno che il regista tende però più a esorcizzare che a esaltare.
Centocianquanta minuti passano e non pesano allo spettatore. E questo è già un miracolo, per un film che non punta sui colpi di scena o sulla suspense. Sono tanti piccoli film che si susseguono senza sosta, tante storie accennate e mai narrate fino in fondo. E’ la forza o il limite – dipende da come lo si osserva – di Baarìa.  Sembra sempre che manchi qualcosa per terminare ciò che era stato appena cominciato. Si attende l’emozione forte, quella che lascia il segno nel pubblico pagante. Ma, a quanto pare, non arriva.
L’opera però è davvero libera e democratica: ognuno può prendere o lasciare ciò che vuole. E’ un contenitore pieno zeppo di spunti e momenti. Non ci sono alti e bassi, ma un percorso lineare dove sei tu a scegliere cosa vale la pena di ricordare. In questa storia d’Italia riprodotta più con magia che con ironia. Ma non c’è trucco e non c’è inganno. E’, come accennato all’inizio, lo sguardo sognante di un fanciullo, che riesce a vedere le cose in maniera diretta, ancora immune da quei filtri che spesso impone la società.   
Quindi, anche se sul grande schermo c’è la nostra tanto bistratta terra, te ne vai dal cinema con un sorriso. Senza quel solito amaro in bocca che deve, obbligatoriamente, farti riflettere sui disastri, le colpe e le ingiustizie che coinvolgono la tua gente.
Peccato che in sala l’età media sia sin troppo elevata. Questo è un film da far vedere ai giovani. Che hanno il diritto di vaccinarsi dai disfattismi di una vecchia e indigeribile cultura che presto proverà a mortificare i loro sogni.

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