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La lezione pugliese che il Pdl non ha imparato

Anche senza i sondaggi – del tutto veritieri nonostante le polemiche di Francesco Boccia – si poteva avvertire con anticipo che Nichi Vendola avrebbe trionfato alle primarie pugliesi del centrosinistra  anche solo ascoltando le ultime dichiarazioni dei due candidati.
Ai microfoni di Sky Tg 24, che poneva ad entrambi la domanda di rito (“Per quale motivo un elettore di centrosinistra dovrebbe votare per lei?), Francesco Boccia rispondeva con freddezza: “La scelta non è tra Boccia e Vendola, ma tra due concezioni del centrosinistra, tra un progetto che unisce le forze della sinistra e quelle di centro per costruire, anche a livello nazionale, un’alternativa alla destra”. Il trionfo della politica politicante, del calcolo di partito, del gioco di palazzo, dove la Puglia è al massimo un “laboratorio politico”, un luogo dove altri – D’Alema e Casini – utilizzano una cavia, Francesco Boccia, per trovare un modo, tra tre anni, di sconfiggere Silvio Berlusconi. Una risposta pedagogica, senza neppure la larvata intenzione di accendere un sentimento.
Quel sentimento, caloroso, che sgorgava dalle parole di Vendola: “Noi vogliamo ridurre la distanza tra i sogni, le passioni, i progetti che abbiamo alimentato e le cose che abbiamo realizzato, per dare, sopratutto ai giovani, la possibilità e la speranza di una Puglia migliore”. Parole di un combattente, capace di evocare sogni, speranze, passioni; capace di riconoscere che c’è ancora una distanza da colmare tra i sogni e la realtà; capace di indicare – qui ed ora – l’idea di una Puglia da desiderare, una Puglia migliore.
Parole ben interpretate dal regista barese Alessandro Piva, secondo il quale “Vendola è un Berlusconi rosso e li ha fregati con lo stesso metodo che il Cavaliere usa da anni. E´ bravo a far la vittima, quello contro il sistema, quello che si è fatto da solo. È più moderno, è un comunicatore, si rivolge direttamente al popolo ed è capace di emozionare. Con lui gli avvisi di garanzia funzionano alla rovescia. È un combattente e ha dimostrato di avere nove vite come i gatti. È come Berlusconi”. Un paragone di cui Vendola si compiace e che conferma la stoffa da leader di Nichi, il quale con il leader del centrodestra ha sempre mantenuto un rapporto rispettoso. Tanti ricordiamo che, nel settembre 2005, all’inaugurazione a Bari della Fiera del Levante, quando il governo Berlusconi era da poco uscito dal rimpasto a cui l’aveva costretto l’Udc di Follini e Casini dopo la dura sconfitta delle regionali, Vendola fu l’unico dei tre rappresentanti delle istituzioni locali ad avere parole di sincera accoglienza per il premier, mentre il presidente della provincia Divella e il sindaco di Bari Emiliano non avevano fatto mistero del loro antiberlusconismo. E in quella occasione Berlusconi ebbe modo di ringraziare altrettanto sinceramente il giovane governatore comunista, gay e con l’orecchino.
Che Vendola non piaccia innanzitutto a sinistra è un fatto testimoniato dalla campagna che gli ha scatenato contro D’Alema. Nella regione che, almeno fino a domenica, considerava come un protettorato personale, il leader Maximo prima ha tentato lo sfondamento con Emiliano, poi ha cercato di forzare con l’accordo dell’Udc sul nome di Boccia, infine – una volta costretto alle primarie – ha tentato la demolizione dell’immagine di Vendola, con una campagna martellante in cui l’accusa era la stessa rivolta a Berlusconi: “populista”. Mentre la procura, inspiegabilmente “intima” di Boccia, inventava un avviso di garanzia a orologeria contro Vendola.
Vendola, però se lo aspettava. Basta leggere cosa pensa dei dirigenti ex-comunisti del Pd: “Hanno un rapporto nevrotico con la modernità e non hanno mai davvero chiuso i conti col passato. Ma di tutta la grande narrazione politica comunista, quelli come D´Alema e Bersani hanno conservato un solo tratto, il fascino supremo del comando. L’illusione di poter imporre alla base qualsiasi scelta, per quanto impopolare, in nome del fine superiore del partito. Soltanto che questo fine superiore non esiste più. E alla lunga, senza un’utopia, una trascendenza, la gente prima o poi si stufa di obbedire”. Forte di queste convinzioni il “Berlusconi rosso” ha stravinto, con il 73% in tutta la regione e risultati stupefacenti in città simbolo: il 95% a Bari, la città di Boccia, l’80% a Fasano, la città di La Torre, il 77% a Gallipoli, il collegio elettorale di D’Alema. Chissà cosa avrebbe preso a Piacenza.
Una bella lezione per tutti, non c’è che dire. Una lezione che il Popolo della Libertà non vuole imparare. E per la seconda volta in cinque anni. Il gruppo dirigente del partito, infatti,, di fronte alla crisi del laboratorio pugliese di D’Alema e Casini non ha saputo che rinserrarsi nella sua ridotta. Ha prima evitato che l’ufficio di presidenza della scorsa settimana assumesse un orientamento preciso e poi ha forzato i tempi per giungere a una candidatura “ufficiale” a urne delle primarie ancora chiuse, come se fosse la stessa cosa confrontarsi con Francesco Boccia e la coppia D’Alema – Casini piuttosto che con Nichi Vendola.
E così ne è scaturita una candidatura tutta di apparato, resa pubblica con parole degne di un politburo, non di un partito carismatico: “I Coordinatori Nazionali del Pdl, sentito il Presidente Silvio Berlusconi, d`intesa con il Coordinamento Regionale della Puglia e con il Ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ha designato Rocco Palese quale candidato per la Presidenza della Regione Puglia”. Ma come? Berlusconi, il monarca, il leader, l’unico in grado di raccogliere milioni di voti in tutta Italia e stato solo sentito? E invece è stata necessaria l’intesa con il Coordinamento Regionale pugliese e il ministro Raffaele Fitto, sponsor dell’amico Rocco Palese? E da quando in qua il ministro degli Affari Regionali conta più del primo ministro? Forse perché è pugliese e quella regione è il suo protettorato personale secondo logiche dalemiane? Misteri dei partiti.
Misteri che rendono legittima una domanda: quale scopo si prefigge il gruppo dirigente del Pdl, vincere le elezioni o affermare la supremazia di apparato? Scelte così al ribasso, a cui si è giunti con il metodo del fatto compiuto, chiariscono perché nella riunione dell’ufficio di presidenza di qualche giorno fa era stata avanzata l’ipotesi “dadaista” del giornalista del Tg1 Attilio Romita. E anche perché nella tavola rotonda al convegno di Arezzo proprio Raffaele Fitto, rispondendo ad una domanda di Bianca Berlinguer sulla candidatura Romita per la Puglia, si era “avvalso della facoltà di non rispondere”.
Già, proprio il convegno di Arezzo, quel convegno che era nato per segnare le distanze tra Gianfranco Fini e la maggioranza degli ex-An e che, invece, durante la strada, è diventato il luogo di formazione di una anomala squadra di “colonnelli” del Pdl, di un partito che – mentre  i partiti pedagogici e novecenteschi sono polverizzati dalla spinta popolare come è accaduto in Puglia – cerca di diventare proprio come quelli che in questi diciassette anni Berlusconi ha sconfitto. Gruppi di dirigenti autoreferenziali, che le elezioni le perdono perché vivono di veti più che di proposte. E più perdono le elezioni, più stringono il controllo sul partito. Così è sembrato il Pdl ad Arezzo, un partito che ha evocato il suo leader carismatico con la stessa passione con  la quale il PRI evocava Mazzini.
Così, mentre Vendola viaggia verso il 28 marzo sull’onda della spinta popolare (”Con il Vendola in poppa” titola il manifesto) e Casini evita di affondare insieme D’Alema aggrappandosi ad Adriana Poli Bortone, il Pdl non entra nemmeno in partita pur di non rischiare l’equilibrio interno raggiunto ad Arezzo.
Se così stanno le cose, è meglio che il Pdl non nasca mai. Anzi che muoia presto. Perché a noi, che crediamo ancora nella sovranità del popolo, nella forza del popolo, avrebbe fatto piacere leggere un comunicato più o meno di questo tenore: “Il presidente Silvio Berlusconi, d’intesa con i coordinatori nazionali, sentiti il coordinamento regionale pugliese ha chiesto a Tizio Caio di candidarsi alla presidenza della Regione Puglia con il sostegno del Popolo della Libertà”.
Qualche mese fa, in Abruzzo e in Sardegna si è fatto così. E si è vinto anche contro quel Soru che doveva diventare il nuovo leader del Pd e invece è andato a picco abbracciato stretto a Walter Veltroni. Altri tempi. Speriamo che tornino (Il Predellino).

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