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L’Italia è liberale o non è

Che le celebrazioni di Camillo Benso conte di Cavour, a duecento anni dalla sua nascita avvenuta a Torino il 10 agosto 1810, siano ancora, sostanzialmente, a un punto morto è uno di quei dati che suscitano tristezza più che perplessità. E che, soprattutto, testimoniano della debolezza etico-civile di un paese che sembra aver messo ormai in soffitta tutto il suo passato risorgimentale e che sembra voler ignorare o dimenticare le radici più profonde della sua storia e i suoi stessi caratteri identitari.
Eppure la figura di Cavour è essenziale per la vicenda del processo di unificazione nazionale. Egli ne è stato, senza nulla voler togliere ai co-protagonisti, il maggiore artefice quanto meno per il fatto che il progetto politico-istituzionale effettivamente realizzato con la creazione del Regno d’Italia fu vicino proprio al modello ideato dallo statista piemontese piuttosto che a qualunque altra ipotesi sognata, pensata ovvero auspicata da altri protagonisti del Risorgimento. L’osservazione è del maggiore studioso di Cavour, lo storico Rosario Romeo, ed è contenuta in un delizioso e folgorante libretto, a sua firma, dal titolo Cavour. Il suo e il nostro tempo (Le Lettere) contenente una lunga intervista rilasciata a un altro storico, Guido Pescosolido, nel 1985 all’indomani del completamento della grande biografia cavouriana. Un piccolo e denso libro, che toglie dall’oblio (dovuto all’esser confinato nelle pagine di un mensile) un testo importante e che costituisce, pur nella forma dialogica, il più ampio scritto nel quale Rosario Romeo parla della sua opera più significativa e del suo modo di fare storia e nel quale offre una sintesi interpretativa, estremamente efficace, della politica di Cavour, dei nodi problematici della costruzione dello Stato unitario e delle sue vicende successive, nonché del dibattito storiografico.
Che Romeo avesse un rapporto di particolare empatia con la figura del suo biografato è fuor di dubbio e ben lo sanno i lettori più anziani del Giornale sulle cui pagine non di rado lo storico – che del quotidiano era una colonna – anticipava i risultati delle sue ricerche. Alla stesura dei tomi di Cavour e i suoi tempi, pubblicati fra il 1969 e il 1984, e della più breve Vita di Cavour uscita in quello stesso 1984, Romeo dedicò almeno una ventina di anni di lavoro. Era il periodo nel quale l’epopea del Risorgimento era sottoposta alla revisione critica di tipo marxista e gramsciano, o a quella, pur maturata nell’ambito della cultura liberale e democratica, di stampo radicale. O, ancora, scontava il peso di un clima politico-culturale, che, ossessionato dal problema delle origini del fascismo, finiva per ridurla a una specie di antefatto dell’avventura fascista.
Con, alle spalle, la lezione storiografica di Gioacchino Volpe e di Benedetto Croce e grazie anche alla sua sensibilità per i temi internazionali, Romeo riuscì a realizzare una biografia che, attraverso la ricostruzione della vita e della personalità di Cavour, affrontava non solo un nodo della storia nazionale italiana ma toccava anche i processi più significativi di quella europea del secolo XIX. Così, per esempio, assai innovative sono le pagine dedicate al rapporto con la Gran Bretagna o con la Francia di Napoleone III. Romeo, in particolare, ridimensionò l’immagine consolidata di una Gran Bretagna – che, pure, rappresentava per Cavour un modello esemplare e di riferimento sul terreno politico, ideologico e culturale – amica del movimento nazionale italiano. Egli fece vedere come, nella realtà dei fatti, gli inglesi non vollero mai davvero l’unità d’Italia temendo che essa potesse indebolire la posizione dell’Austria, loro maggiore alleata, e favorire la rinascita di una egemonia continentale della Francia. E, ancora, a proposito di Napoleone III, sottolineò come anche l’imperatore francese, presentato nell’immaginario collettivo come paladino delle nazionalità, fosse invece deciso a strumentalizzare il movimento nazionale italiano per creare nella penisola un gruppo di Stati satelliti.
Questi punti, nell’intervista rilasciata a Pescosolido, sono illustrati con grande chiarezza. Così come, con battute spesso folgoranti, sono presentati i termini dei profondi contrasti che opposero Cavour ad altri protagonisti del Risorgimento, da Mazzini, visto come un rivoluzionario autentico, a Garibaldi fino allo stesso Vittorio Emanuele II. Ma, soprattutto, emerge la convinzione di Rosario Romeo – di questo storico dotato di grande passione etico-civile oltre che di indiscussa professionalità – che Cavour riuscì a realizzare quel che realizzò, appunto l’Italia unita, perché seppe anche cogliere e canalizzare la pressione, esercitata dal basso, del movimento nazionale italiano.
In occasione del primo centenario dell’Unità nazionale, nel 1961, Romeo aveva avuto occasione di denunciare la tendenza all’affievolimento dei valori patriottici dell’età risorgimentale e alla svalutazione delle conquiste dello Stato unitario liberale, a causa, fra l’altro, dell’incidenza di un quadro politico egemonizzato di fatto da due partiti, la Dc e il Pci, eredi diretti di forze estranee o contrarie al moto risorgimentale. Oggi la situazione politica generale del paese è ben diversa. Ma, alla vigilia di un altro anniversario, quello del 150° – per quanto i termini del dibattito storiografico sul Risorgimento non siano più gli stessi – si deve registrare il fatto che le pulsioni antiunitarie e le tentazioni di svilire i valori nazionali e liberali attorno ai quali è stata costruita l’Italia sono tornate di moda per l’azione combinata e corrosiva di tendenze storiografiche ideologizzate e di nostalgie antistoriche. Anche per questo, come antidoto etico-civile, oltre che come un ritorno alla verità storica, sono da ascoltare le parole di uno studioso equilibrato come Rosario Romeo (da il Giornale).

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