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Il valore del garantismo

La recente nomina di Aldo Brancher a ministro per il Decentramento ha scatenato una forte raffica di critiche da parte del centrosinistra, accompagnata da un’insistente sottolineatura dell’inadeguatezza del neoministro a causa del suo coinvolgimento in un’inchiesta giudiziaria. Si è trattato dell’ennesima manifestazione di quel giustizialismo che oggi rappresenta la caratteristica precipua dell’opposizione e che ci ha ormai reso abituali spettatori di insulti, veementi accuse e richieste di dimissioni ogniqualvolta venga anche soltanto annunciato l’avvio di un procedimento penale riguardante personaggi del mondo politico-istituzionale. Emerge insomma sempre più, nelle tesi di una parte politica, la malsana idea che la sottoposizione ad un’indagine rappresenti di per sé un’infangante ignominia equivalente, nei fatti, ad una sentenza di condanna. E, invece, l’atteggiamento garantista di chi invoca la necessità di attendere pronunce definitive prima di esprimere giudizi in merito, è sovente irriso o persino additato come vergognoso o immorale.
È però particolarmente singolare che a proclamarsi campioni del giustizialismo siano proprio quei politici che rivendicano, tra i capisaldi della propria ideologia, l’esigenza di un rispetto assoluto ed incondizionato della Costituzione.
Anche ai Padri Costituenti risultò infatti evidente il rischio che un’eccessiva strumentalizzazione delle vicende processuali potesse, ove le inchieste si fossero poi rivelate frutto di un mero errore giudiziario, produrre dei gravi danni all’onore ed alla vita degli imputati, che nessuna sentenza di assoluzione sarebbe stata poi in grado di cancellare. Per tale ragione Essi, anche in tale campo, ricercarono un punto di equilibrio che consentisse di bilanciare il valore della legalità con quelli della dignità personale e della reputazione. Tale punto di equilibrio fu poi consacrato nel secondo comma dell’articolo 27 della Carta fondamentale, che espressamente stabilisce che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. E proprio questo principio, conosciuto come presunzione di innocenza, ci consente chiaramente di definire il nostro Stato, oltre che democratico, repubblicano e sociale, anche garantista.
Alla luce di tale elementare considerazione, la contrapposizione tra giustizialismo e garantismo appare dunque sterile e priva di qualunque ragion d’essere. Il garantismo non è infatti soltanto una corrente ideologica, una sensibilità politica che si può liberamente decidere se accogliere o meno, ma costituisce un fondamentale principio costituzionale, uno dei principali punti di compromesso tra opposte esigenze su cui riposa l’intera architettura dei diritti e doveri del cittadino. È proprio dunque l’esigenza di un’osservanza vera e convinta, e non solo di facciata e a meri fini elettorali, della nostra Costituzione ad imporre un rispetto assoluto della presunzione d’innocenza, e la conseguente messa al bando di ogni forma di giustizialismo.

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