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La Chiesa alza la testa e rifiuta i processi mediatici

«Può essere che in passato, forse anche per un malinteso senso di difesa del buon nome dell’istituzione, alcuni vescovi, nella prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare l’ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis del 1922, sotto il pontificato di Pio XI, poi con il beato Giovanni XXIII il Sant’Uffizio ne curò una nuova edizione per i Padri conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione in confessione e di altri delitti più gravi a sfondo sessuale come l’abuso sessuale di minori». A spiegare la posizione della Chiesa è Monsignor Charles J. Scicluna, «promotore di giustizia» della Congregazione per la Dottrina della fede. In pratica si tratta del pubblico ministero del tribunale dell’ex sant’Uffizio, che ha il compito di indagare sui cosiddetti delicta graviora i delitti che la Chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto: e cioè quelli contro l’Eucaristia, quelli contro la santità del sacramento della penitenza e il delitto contro il sesto comandamento («non commettere atti impuri») di un chierico con un minore di diciotto anni. Delitti che un motu proprio del 2001, Sacramentorum sanctitatis tutela, ha riservato, come competenza, alla Congregazione per la dottrina della fede. Di fatto è il «promotore di giustizia» ad avere a che fare, tra l’altro, con la terribile questione dei sacerdoti accusati di pedofilia periodicamente alla ribalta sui mass media. E monsignor Scicluna, un maltese affabile e gentile nei modi, ha la fama di adempiere il compito affidatogli con il massimo scrupolo, senza guardare in faccia a nessuno.
Eppure c’è chi accusa la Chiesa di insabbiare. Finalmente, dopo mesi di indecisione e gravi errori di comunicazione il segretario di Stato Vaticano, monsignor Tarcisio Bertone, replica centrando l’obiettivo: «La Chiesa ha ancora una grande fiducia da parte dei fedeli, solo che qualcuno cerca di minare questa fiducia ma la Chiesa ha con sé un aiuto speciale dall’alto». Gli fa eco il cardinal Camillo Ruini: «non si può far finta di non vedere che l’attenzione di molti giornali e degli ambienti che si esprimono attraverso essi si concentra sui casi di pedofilia dei sacerdoti cattolici e non si può nemmeno ignorare il tentativo tenace di e accanito di tirare in ballo la persona del Papa, nonostante tutti i puntuali chiarimenti della sala stampa vaticana e di altre fonti attendibili». A che cosa punta tutto il battage mediatico sullo scandalo dei preti coinvolti in casi di pedofilia? C’è un intento nobile nell’occuparsi con tanta enfasi moralizzatrice di questa triste e dolorosa vicenda oppure essa è strumentalizzata per raggiungere un fine inconfessabile, e cioè la destrutturazione dei capisaldi su cui si regge l’esperienza storica e mistica della Chiesa cattolica, in particolare il papato e il celibato sacerdotale? Sono domande che sorgono spontanee dopo aver constatato che le notizie provenienti dall’Olanda, dall’Irlanda, dall’Austria e soprattutto dalla Germania si sono presto trasformate in capi d’accusa con cui si è tentato per un verso di mettere sul banco degli imputati il pontefice quando ancora era arcivescovo di Monaco (1977-1982), e per l’altro di individuare come causa degli abusi la castità sacerdotale.
Per quanto riguarda il primo punto, è già stato ampiamente dimostrato sia dalla Santa Sede sia dalla stessa Arcidiocesi bavarese che Ratzinger non ebbe alcuna responsabilità nella scelta di dare incarichi pastorali a Monaco ad un sacerdote con precedenti di pedofilia: è stato monsignor Gruber, all’epoca vicario generale, a spiegare che quella fu una sua decisione. Un atto che peraltro, come ha precisato in una nota il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, contravvenne alle indicazioni ricevute dallo stesso Ratzinger. Di fronte a tutto ciò, cercare di gettare fango su Papa Benedetto XVI rivela un intento malevolo e denigratorio che va ben oltre la volontà di stigmatizzare senza se e senza ma i casi di pedofilia che hanno coinvolto alcuni preti cattolici (il Clandestino).

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