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Islam e libertà per Daniela Santanchè

Lo scorso 15 settembre è morta una ragazza marocchina di nome Sanaa, uccisa barbaramente dal padre in un bosco del pordenonese.
Colpa dell’Islam, chiosavano i soliti giornali, i soliti rotocalchi, i soliti mezzo busto.  L’unica colpa di Sanaa, dicevano, era quella di voler vivere all’occidentale.  Vivere all’occidentale, chissà cosa significa.
A spiegarcelo è intervenuta Daniela Santanchè, già autorevole deputato della Repubblica nella scorsa legislatura e ora a capo del “Movimento per l’Italia”.  Esperta di comunicazione e di pubbliche relazioni, Daniela Santanchè si è recata la scorsa domenica mattina alla festa per la fine del digiuno islamico (il sawm) per manifestare contro il porto del burqa in Italia.  Inutile dire che tale manifestazione è assolutamente lecita e legittima, formalmente.
Daniela Santanchè non è certo un’accademica, e quindi va perdonata.  Ma un minimo d’informazione non guasterebbe.
Citare il burqa significa semplificare in modo grossolano un aspetto religioso più complesso.  Ancora sotto shock per la tragedia afgana, abbiamo sorvolato sul grido di battaglia della Santanchè.  Ma il burqa in Italia è rarissimo, come è raro in generale nel Mondo mussulmano, è un indumento che tradisce una visione estrema e estremista dell’Islam sunnita e che troviamo quasi esclusivamente in Afghanistan.  Quell’Afghanistan tribale e medievale, martoriato dalle guerre, da un regime fondamentalista unico nella storia mussulmana (i Taliban) e dove hanno trovato la morte i nostri paracadutisti.
L’Afghanistan, dunque.  Ma l’Islam è un mondo composito che ricopre un territorio che si estende dall’Atlantico all’Oceano Indiano, in cui ogni nazione ha al suo interno peculiarità geografiche, storiche, di tradizioni e di elementi di unicità.  Daniela Santanchè ha deciso di bypassare questi dettagli e di inserire il tutto in un quadro comune in cui l’Islam viene descritto come una religione violenta, intollerante, nemica dell’Occidente, assassina: ci sono circa un miliardo e trecentomila mussulmani nel mondo, pronti a sgozzare le loro figlie, a umiliare le loro donne e a farsi esplodere in nome di Allah.  Questo è il pensiero lungimirante della Santanchè.
In fondo il problema non è tanto quello che dice la Santanchè , esponente di poco spessore di una destra pailletes, fuori dal Parlamento, a capo di un movimento che prima o poi sparirà appena riuscirà a riprendersi la poltrona che ha perso durante le ultime elezioni.  Il problema è la diffusione dell’ignoranza, perché è contagiosa e se unita alla stupidità crea quella miscela esplosiva che ha sempre causato distruzione nella storia dell’Umanità.
Ignoranza è parlare di burka a sproposito quando invece s’intende l’hijab, il copricapo (non integrale) più diffuso nei paesi mussulmani, ignoranza è strumentalizzare la vicenda di una povera ragazza per berciare confusamente la propria isteria protagonista; stupidità invece è presentarsi a una delle feste più importanti per il mondo mussulmano, quello della fine del ramadan, sacro dovere e pilastro dell’Islam, per manifestare e inneggiare ai valori di civiltà occidentale(?!) di cui la Santanchè si sente depositaria.  Stupidità è impedire a tutti i costi una celebrazione religiosa cercando in modo grossolano un dibattito con le donne mussulmane presenti.  Ribellati diceva alle donne velate, Devi lasciarla libera deciva ai mariti.  Peccato che il suo urlo libertario non sia stato ascoltato da nessuno, anzi alcune signore velate le hanno ricordato quanto il loro concetto di libertà differisca dal suo: Se per te la libertà significa metterti il perizoma, per noi significa metterci il velo.
Ecco.  Con ogni certezza Daniela Santanchè ha una visone di libertà distorta e si autoproclama Giovanna d’Arco delle donne del Mondo e paladina dell’integrazione.  Ma quali donne? Le veline? Il prototipo di Silvio?  Quell’idea di donna che la destra promuove attraverso le tragicomiche esperienze  sessual-senili del Premier?  Oppure quelle donne “emancipatesi” perché divenute Ministro della Repubblica attraverso una meritocrazia che mi sfugge?  Non a caso le Ministre Gelmini e Carfagna hanno subito espresso la loro solidarietà alla Daniela bastonata (episodio ancora da chiarire).
E quale integrazione? Tolto il velo, per meglio integrarsi si raccomanda un bel tanga fucsia ben in vista e più in là qualche decina di interventi di chirurgia estetica (Santanchè docet).  
Questa vicenda desolante ci indica la mancanza totale di civiltà di un esponente pubblico per il quale il velo è semplicemente il simbolo di un’identità diversa che non sopporta.
O, nella migliore delle ipotesi, esprime un’ipocrisia di fondo, un intollerabile e mai sopito paternalismo.  Quel paternalismo che favoriva l’integrazione sulle note di faccetta nera, sarai italiana.

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