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Il pragmatismo per salvare l’Europa

L’astensionismo record registrato alle ultime consultazioni per il rinnovo del parlamento europeo impone serie riflessioni su un’entità che col passare degli anni non fa altro che perdere consistenza e si smarrisce in ripetitivi e sempre più sporadici buoni propositi. Chiaro che i cittadini italiani, così come quelli degli altri Stati, non percepiscono l’Europa come una vera risorsa e che nell’immaginario collettivo ha la meglio uno stereotipo – per nulla distante dalla realtà – fatto di regole inutili ed  eccessiva burocrazia.
Se pensi all’Ue vengono in mente le grandi banche e il grigiore di Bruxelles, città simbolo di un prestigio legato più alle etichette che alla vitalità di politiche che funzionano.  L’avanzamento elettorale dei partiti di centrodestra sembra essere la prima concreta risposta a questa situazione di stallo. L’elettore europeo ha premiato proprio quei partiti che sono sempre stati critici sul sistema e che, almeno nelle intenzioni, hanno dichiarato guerra all’apatia burocratica del vecchio continente.
Il realismo invita a credere che certe divisioni sociali, culturali e politiche siano impossibili da superare e forse è anche inutile intestardirsi su punti programmatici che in realtà non incassano la piena condivisione di tutti i soggetti i causa. Ma è pur vero che se si vuole davvero essere interlocutori credibili degli Stati Uniti e allo stesso tempo difendersi dall’avanzata economica e culturale di nuove super potenze come la Cina e l’India, l’Unione Europea deve compiere un decisivo passo in avanti per evitare di essere schiacciata.
Per tale motivo dalle destre europee ci si aspetta soprattutto una cosa: sfruttare quel pragmatismo, che è insito nella loro cultura politica,  al fine di raggiungere almeno quegli obiettivi minimi che darebbero un senso diverso al sistema. Tra questi: creazione di un esercito unico (con annessa riduzione dei costi per la difesa), costituzione di un organismo per la politica estera con ampi poteri (in grado di fare da sintesi e di prendere decisioni univoche), interventi specifici in materia di liberalizzazione economica, riduzione della pressione fiscale, immigrazione. Tematiche che devono coinvolgere tutti e tradursi in una linea comune.
Nei prossimi cinque anni si ha la possibilità di far ripartire l’Europa con poche ma concrete iniziative e di invertire quindi la rotta intrapresa. Prima di assistere a nuove, imbarazzanti elezioni caratterizzate dall’indifferenza e dall’astensione. E da un sogno che sta già sfumando.

 

 

 

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