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Il lamento del prepuzio

Il lamento del prepuzio, romanzo di Shalom Auslander edito da Guanda, è il libro più divertente del 2009. C’è da fare davvero un monumento allo psichiatra che ha consigliato all’autore di raccontarsi per superare i non pochi traumi subiti durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza vissuti in una delle più rigide e ortodosse comunità ebraiche d’America.
Cresciuto nello stato di New York, fra mille divieti e sotto la costante minaccia di un Dio vendicativo ed eternamente arrabbiato, Shalom Auslander ha fatto di tutto per affrancarsi da quell’ambiente e da quelle tradizioni, eppure si ritrova, anche da adulto, felicemente sposato e in attesa di un figlio, a lottare per scrollarsi di dosso la sua ossessione. Perché lui crede, e non può fare a meno di credere, in un Dio ‹‹personale››. E proprio questo è il suo problema: è convinto che Dio ce l’abbia «personalmente» con lui, che sia sempre pronto a rovinargli qualsiasi gioia e a rifilargli qualche fregatura. Con umorismo spietato e rabbia feroce, Auslander ripercorre le tappe di un percorso di formazione a ostacoli: le gare di benedizioni organizzate dai rabbini alle scuole elementari; le prime disastrose esperienze con le ragazze (non soltanto reali ma anche immaginarie); i due anni trascorsi in una scuola religiosa di Gerusalemme per adolescenti ebrei irrequieti; i mille traslochi insieme alla moglie da una zona all’altra di New York alla ricerca della loro personale Terra Promessa. Sempre disposto a negoziare con Dio e con i suoi «emissari», a barattare una trasgressione con la promessa di rigare dritto in futuro, Auslander cerca di stabilire con l’implacabile avversario una sorta di cessate il fuoco in vista della nascita di suo figlio, perché il bambino possa crescere sano e libero dai sensi di colpa.
Auslander regala al lettore un patrimonio di conoscenze della cultura e delle tradizioni ebraiche, ma lo fa con una sensazionale dose di ironia: «Quando ero bambino i miei genitori e i miei insegnanti mi raccontavano di un uomo che era molto forte. Mi dicevano che era capace di distruggere il mondo intero. Mi dicevano che era capace di sollevare le montagne. Mi dicevano che era capace di dividere le acque del mare. Era importante che tenessimo quell’uomo di buon umore. Quando obbedivamo ai suoi comandamenti, gli eravamo simpatici. Gli eravamo così simpatici che uccideva chiunque non ci amasse. Ma quando non obbedivamo ai suoi comandamenti, non gli eravamo simpatici. Ci odiava. Certi giorni ci odiava tanto da ucciderci; altri giorni lasciava che ci uccidessero altri. Noi chiamiamo questi giorni “giorni di festa”. Purim è quando cercarono di ucciderci i persiani. Pesach è quando cercarono di ucciderci gli egiziani. Chanukah è quando cercarono di ucciderci i greci». Il trentaduenne Shalom Auslander appare tanto eccezionale quanto vulnerabile, tanto che ammette egli stesso di aver pensato molte volte di suicidarsi: «Mi sarei ammazzato, senza ombra di dubbio. Dieci anni fa ci sono arrivato veramente vicino. La sola ragione per cui mi sono rivolto a uno psichiatra è che avevo una moglie che amavo, e ho pensato: glielo devo. Altrimenti, suicidarsi è la sola soluzione sensata quando hai la testa piena di cose che rendono ogni momento della tua vita insopportabilmente doloroso. È anche il più grande atto di ribellione contro un Dio che può controllare tutto tranne quel gesto. Per questo ti insegnano fin da piccolo che il suicidio è il peccato più grave di tutti». Non c’è ombra di antisemitismo, ovviamente, anche perché a scrivere è un ebreo che, semplicemente, sostiene che la religione ebraica che hanno insegnato a lui è semplicemente terrorizzante! Nonostante questo l’autore si definisce ancora ‹‹penosamente, sgraziatamente, incurabilmente, miserabilmente religioso››. Riderete per la bellezza di quasi trecento pagine (da ilPredellino).

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