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Il nuovo clan del «lei non sa chi sono io»

da Il Corriere della Sera 
 
L’avevamo rele­gata alla commedia all’italiana di Totò e Albertone. La Cassa­zione l’aveva addirittura bolla­ta come «sconveniente» con la sentenza numero 138 del 2006. E tutto sommato era ve­nuta a noia pure ai politici, che ne avevano pomposamente abusato a cavallo tra la Prima e la Seconda Repubblica. Ma il peggio non conosce vergogna. E così, per i corsi e ricorsi delle brutte maniere, è ritornata la famigerata frase «lei non sa chi sono io!», declinata nelle va­rianti: «Ma ha capito chi so­no? » e «Ora avviso io persone che contano!». Con una diffe­renza, rispetto al passato. Una volta a replicare con questi to­ni erano deputati e senatori. Adesso soubrette e calciatori.

Venerdì notte è successo ad Aida Yespica, showgirl del Ba­gaglino, fermata dai carabinie­ri a Milano a bordo della sua Range Rover con un tasso alco­lemico di 1,67 grammi per li­tro (il limite è 0,5). Ai militari che le ritiravano la patente e se­questravano l’auto, ha provato a dire in lacrime: «Ma avete ca­pito chi sono?». Avevano capi­to benissimo: era una condu­cente in stato di ebbrezza.

Aida Yespica sulla sua auto con Matteo Ferrari
A luglio l’ex attaccante della Lazio Paolo Di Canio ne cantò quattro ai finanzieri che gli ave­vano chiesto documenti, libret­to di circolazione e di firmare un verbale di accertamento mentre in Mercedes si stava imbarcando per l’Isola del Gi­glio. «Vi faccio trasferire», «chiamo a Roma persone che contano», «andate a cercare i brigatisti invece di rompere le scatole agli onesti cittadini». Risultato: perse il traghetto, passò più di un’ora in caserma e si beccò una denuncia per re­sistenza e minacce a pubblico ufficiale. Un anno fa fu la sou­brette Sylvie Lubamba a dover strabuzzare gli occhioni casta­ni al buttafuori del Nepenta di Milano, dove non la facevano entrare: «Ma hai capito chi so­no? », ha ripetuto più volte.

«Questi episodi non sono ir­rilevanti, sono spie preziose dello stato deprimente del no­stro costume attuale», senten­zia il sociologo Franco Ferrarot­ti. E il collega Mario Morcellini va giù ancora più pesante: «So­no gli indicatori di due fenome­ni opposti: l’eccesso di potere che calciatori e veline hanno nell’immaginario collettivo; e il basso livello culturale dei protagonisti, che scelgono la soluzione più banale nel rap­porto con le istituzioni. È sor­prendente come le professioni che si giustificano con meno fa­tica siano anche le più arrogan­ti ». Nino Manfredi lo cantava già 30 anni fa. In un dimentica­bile brano intitolato «Lei non sa chi sono io!», dove racconta­va le disavventure di un pollo, di uno scimmione e di un re cattivo condannati dalla loro stessa strafottenza, conclude­va: «Non ti montare mai la te­sta nella vita».

Da allora è passata tanta ac­qua sotto i ponti della prepo­tenza. In maniera trasversale. Antonia De Mita, figlia del se­gretario Dc Ciriaco, una volta si infuriò con i finanzieri del­l’aeroporto di Linate rei di aver­le chiesto i documenti. Suo fra­tello Giuseppe si distinse per una scorribanda a bordo di una Ferrari nella base Nato di Bagnoli. Nel ’95 il forzista Do­menico Contestabile rivendicò il suo status di senatore della Repubblica dopo un banale in­cidente in centro a Milano. Per­fino l’attuale presidente del Se­nato, Renato Schifani, ci cascò nel 2002: fece identificare dalla sua scorta le maschere del cine­ma Aurora di Palermo che gli avevano fatto notare come la sua tessera Agis per vedere i film gratis fosse scaduta.

Se può consolare, non è un’usanza solo italiana. Nel 2005 a Parigi, complice qual­che birra, una festa tra amici si concluse al commissariato. Tra i ragazzi coinvolti, un certo Ar­thur chiese di poter fare la clas­sica telefonata a casa. Solo che a Matignon non rispose un pa­pà qualsiasi, ma Dominique de Villepin, primo ministro. Il bri­gadiere lasciò tutti liberi e evi­tò di aprire un’inchiesta

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