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Il mezzo e il fine

Ne abbiamo sentite e lette tante in questi giorni. Ma era prevedibile: i blog si sono scatenati. E i giornali pure. In tv abbiamo anche assistito a risse verbali tra le due parti in causa.
Finiani vs Berlusconiani: niente colpi bassi e che vinca il migliore.
Pertanto si è già  detto tutto. O quasi. Le ragioni degli uni e poi quelle degli altri. E così via e viceversa.
In attesa di ulteriori sviluppi, non resta però che porre l’accento su uno degli aspetti più interessanti, al di là delle polemiche, dei veleni e delle reciproche accuse, che caratterizza lo scontro di civiltà esploso all’interno del Popolo della Libertà.
Da una parte la visione di un partito che deve semplicemente rappresentare il mezzo con il quale raggiungere gli obbiettivi politici prefissati con gli elettori. Dall’altra invece è ancora forte la concezione di un partito che diventa quasi un fine. Una casa vera e propria e che in quanto tale deve essere comoda e accogliente. Dove tutto deve funzionare a meraviglia. Non un semplice ponte, se vogliamo anche di legno, utilizzato per approdare alle mete promesse ai cittadini.
E’ questo il vero punto cruciale. Una mentalità pratica, in alcuni casi persino distante dalla politica nuda e cruda, che viene mal digerita da chi ha una tradizione e una storia ben differenti. Radicate in una memoria che vuole essere esaltata e non consumata con la fretta di chi pensa di arrivare innanzitutto al sodo.
Sintetizzando brutalmente: è la forma che sfida la sostanza.
Pensateci bene: le critiche interne all’operato del governo sono state assai deboli. Il problema è un altro e si chiama semplicemente Pdl. Si chiama organizzazione, militanza, rappresentanza. Impossibile affossare Tremonti e le sue scelte economiche, Berlusconi e i suoi miracoli aquilani o i suoi successi in politica estera. Così come più o meno tutto l’esecutivo. Tra l’altro largamente apprezzato dagli italiani. Il problema è lo strumento, non la musica.
Due punti di vista quasi opposti sono quindi oggi obbligati a convivere dentro lo stesso grande soggetto. Non è facile per nessuno. Per la maggioranza che trova incomprensibili i mal di pancia finiani e per la minoranza che a volte concepisce come eretici alcuni atteggiamenti altrui.
Le distanze, culturali prima che politiche, non sono affatto trascurabili. Ma le due visioni, questo è certo, possono essere tra loro complementari.
Quindi lo strappo va risanato e va trovato un compromesso. Bisogna però fare presto. Per non sprecare e soprattutto tradire il patrimonio più importante: il consenso dei cittadini.

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