Archivio di Spettacolo

Il bambino con il pigiama a righe

27 Gennaio. Giornata della memoria.

Basterebbe questa ricorrenza a giustificare l’esistenza di un film del genere, per far sì che non scivoli sotto le grinfie di un mero “Ancora un altro film sugli ebrei!?!?” pronunciato da chicchessia. Non è una giustificazione legata solamente al ricordo che nessuno di noi dovrebbe smarrire, c’è anche una novità: il punto di vista. Tutta la vicenda è, infatti, vista attraverso il filtro della mancata consapevolezza di un bambino.

Bruno, figlio di un ufficiale tedesco, scopre che vicino alla sua nuova casa c’è una strana fattoria dove lavorano dei contadini che indossano tutti dei pigiama a righe. Uno di essi è un bambino di 8 anni, come Bruno, che se ne sta in disparte, triste, vicino al recinto…

Stiamo parlando del tentativo di mostrare la Seconda Guerra Mondiale attraverso la lente deformante della fantasia e dell’innocenza di un bambino! Un tentativo quantomeno lodevole che se anche non sarà del tutto originale, mi viene in mente Germania anno zero per esempio, che però era ambientato appena dopo la guerra, sicuramente mantiene “un che” di audace e irriverente.

Mark Herman è riuscito ad offrirci quello che Roberto Benigni con La vita è bella aveva soltanto volutamente abbozzato. Ma se Benigni ha puntato a suo tempo sulla comicità quale strumento per esorcizzare la tragedia, ecco che invece, Il bambino con il pigiama a righe, sostituisce al comico il dramma dello spettatore consapevole che inerme segue il percorso di un bambino inconsapevole verso un inconcepibile destino. L’orrore dello sterminio aleggia nell’aria, ma siamo soltanto noi ad averne piena coscienza, poiché il protagonista non arriverà mai nemmeno a dubitare della buona fede del padre nazista che lotta per rendere grande la propria nazione. Figura quest’ultima che pare essere l’unica in grado di sopportare la realtà dei fatti: c’è chi ne è completamente ignaro (Bruno), chi ha una concezione distorta della realtà (la sorella di Bruno, Gretel, deviata dagli insegnamenti nazisti) e chi invece (è il caso della madre) non riuscirà a sopportare le mostruosità del campo e avrà un crollo psicologico.

Un film bello, asciutto e profondo al tempo stesso, che ci aiuta a non dimenticare quel che è successo colpendoci sul vivo, lasciando che l’orrore di un tragico presentimento si materializzi davanti ai nostri occhi.

Alla faccia di chi sostiene che l’olocausto non sia mai avvenuto, affermazione che non solo nega il rispetto a milioni di persone, ma mostra anche l’ignoranza e la presunzione di chi non può o non vuole accettare la realtà.

Primo Levi ha scritto: “Se esiste Auschwitz non può esistere Dio”. È un opinione, ma in ogni caso non credo valga il contrario.

Titolo originale: The Boy in the striped pyjamas, 2008

di: Mark Herman

con: David Thewlis, Vera Farmiga, Asa Butterfield

durata: 94 min.

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