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Glossario Europeo (Versione Integrale)

Presentazione

Il cammino comunitario è oggi a uno stadio così avanzato che è diventato viepiù indispensabile per chiunque conoscerne almeno i tratti essenziali. La rubrica che si inaugura oggi e che vi accompagnerà nelle prossime settimane vuole proporvi una sorta di glossario essenziale. Giorno per giorno troverete una sintetica descrizione di alcuni concetti chiave relativi a tematiche connesse all’Unione europea, in ordine alfabetico, senza presunzione di completezza, ma con l’ardire di aiutarvi nella lettura di ciò che accade attorno a noi. Infatti, siamo sempre più cittadini d’Europa, anche quando entriamo in farmacia per acquistare un termometro – dal 3 aprile scorso non sono più in vendita i termometri a mercurio a seguito della decisione della Comunità europea di mettere al bando in tutto il territorio comunitario un materiale ad elevata tossicità quale è il mercurio – o quando controlliamo la data di scadenza della confezione dei nostri dolciumi preferiti, calcolata sulla base di specifiche disposizioni comunitarie sull’etichettatura dei prodotti!!! Una maggiore consapevolezza di cosa significa far parte della Comunità europea non potrà che aiutarci a capire nel nostro lavoro e nella nostra vita il grado di influenza che hanno le decisioni assunte a un livello di governo sovranazionale. Decisioni che, tra l’altro, spesso trovano concreta attuazione a livelli di governo più vicini ai cittadini, sino quindi al livello comunale, passando per il livello di governo statale.

 

A

Acquis comunitario

L’Acquis comunitario è il patrimonio di principi, norme e valori che durante il processo costitutivo delle Comunità europee e dell’Unione europea si è stratificato nel tempo e che oggi è considerato acquisito quale fondamento del sistema europeo. Questo patrimonio di diritti e obblighi, che è in continua evoluzione, vincola tutti gli Stati membri così come gli Stati che chiedono di aderire alle Comunità devono dimostrare durante i negoziati di aver recepito nel loro ordinamento e di rispettare questo patrimonio comune a far data da quando la loro adesione diviene effettiva. Fanno parte dell’acquis i principi, gli obiettivi politici e il dispositivo dei trattati; la legislazione adottata in applicazione dei trattati e la giurisprudenza della Corte di giustizia; le dichiarazioni e le risoluzioni adottate nell’ambito dell’Unione; gli atti che rientrano nel secondo e nel terzo pilastro; gli accordi internazionali conclusi dalla Comunità e quelli conclusi dagli Stati membri tra essi nei settori di competenza dell’Unione

 

B

Bilancio

Dal Trattato di Lussemburgo del 1970 le Comunità europee hanno risorse proprie e ciò ha richiesto una procedura di gestione del bilancio. Infatti da quel momento tutte le entrate e tutte le spese, prima delle Comunità e oggi anche dell’Unione europea, sono state iscritte nel bilancio comunitario, che viene approvato secondo una procedura  apposita che dal Trattato di Bruxelles del 1975 in poi vede riconosciuto un ruolo anche al Parlamento europeo. Il bilancio comunitario si regge sul principio dell’unità, per cui tutte le spese e tutte le entrate sono indicate in un unico documento, e sul principio dell’equilibrio, secondo il quale le spese non devono mai superare le entrate. Ogni anno la Commissione europea predispone un progetto di bilancio che trasmette al Consiglio e al Parlamento europeo, secondo una procedura che vede il Consiglio responsabile finale delle spese obbligatorie mentre al Parlamento spetta l’ultima parola sulle spese non obbligatorie. Spetta infine al Parlamento europeo adottare o respingere il bilancio nel suo insieme e al Presidente del Parlamento europeo constatare la definitiva approvazione del bilancio.

 

C

Comunità europea

La Comunità europea, nata come Comunità economica europea con la firma a Roma da parte dei Capi di Stato e di Governo di Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo dei Trattati di Roma nel 1957, è nella forma una organizzazione internazionale e nella sostanza un progetto politico ben più ambizioso. Sorta sulla base della teoria funzionalista esposta dall’allora ministro degli Esteri francese R. Shuman il 9 maggio 1950 al Quai d’Orsai di Parigi, la Comunità europea è stata intesa da subito come l’occasione per gli Stati aderenti di gestire insieme alcune politiche, limitando parzialmente la propria sovranità nazionale, ad iniziare da profili strettamente economici per promuovere poi non solo uno sviluppo delle attività economiche, ma anche un’espansione continua ed equilibrata, una maggiore stabilità, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli stati che ad essa partecipano.

La Comunità europea è dotata di personalità giuridica ed è pertanto abilitata a concludere e negoziare accordi nel rispetto delle sue competenze esterne, di divenire membro di un’organizzazione internazionale e di disporre di delegazioni nei paesi terzi.

 

Consiglio europeo e Consiglio dei ministri dell’Unione europea

Il Consiglio europeo – che riunisce i capi di Stato e di governo degli Stati membri, nonché il presidente della Commissione, assistiti dai ministri incaricati degli affari esteri e da un membro della Commissione – è l’organo di vertice dell’Unione europea, perché è chiamato a definire gli orientamenti politici generali dell’azione comunitaria. La presidenza spetta a turno semestrale  tra gli Stati membri secondo una rotazione decisa dal Consiglio all’unanimità, le riunioni si svolgono almeno due volte all’anno e le delibere sono solitamente assunte per consensus.

A differenza del Consiglio europeo, che non è un’istituzione, il Consiglio è una delle tre istituzioni politiche, assieme alla Commissione e al parlamento europeo. Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo di detto Stato membro. Si tratta di un organo a geometria variabile, perché di volta in volta si riuniscono i ministri competenti per le materie da trattare, la cui presidenza spetta a turno al rappresentante dello Stato cui è assegnata la presidenza di turno dell’Unione. Nella sua attività il Consiglio è coadiuvato dal Comitato dei rappresentanti permanenti, che dà continuità ai lavori dell’organo. Il Consiglio esercita funzioni legislative, che condivide con il Parlamento europeo, funzioni esecutive, che di norma delega alla Commissione, coordina le azioni degli Stati e adotta misure nel terzo pilastro, conclude accordi internazionali e, come già visto, approva il bilancio.

 

Commissione

La Commissione è composta da un commissario per Stato, scelti in base alla loro competenza generale e indipendenti nell’esercizio dei loro compiti. La procedura di formazione, piuttosto complessa, si compone di una prima fase, in cui il Consiglio europeo nomina il Presidente della Commissione che viene poi sottoposto a un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo; di una seconda fase durante la quale il Consiglio, in accordo con il Presidente designato e in conformità alle indicazioni degli Stati membri, individua i commissari prescelti, che saranno valutati singolarmente dalle commissioni parlamentari competenti in base ai portafogli assegnati; infine, nella terza fase la Commissione così composta si presenta al Parlamento europeo per l’approvazione definitiva, a seguito della quale il Consiglio europeo nomina la Commissione per cinque anni.

La Commissione è titolare esclusiva del potere di iniziativa legislativa ed esercita funzioni esecutive direttamente o su delega del Consiglio. E’ associata ai compiti del Consiglio nel secondo e nel terzo pilastro e vigila sul rispetto degli obblighi comunitari da parte degli Stati membri.

 

D

Deficit democratico

Si tratta di una delle maggiori critiche mosse nei confronti del progetto comunitario a partire dagli anni ’70, da quando l’inglese D. Marquand ha coniato questa espressione. La scarsa democraticità del sistema è stata variamente attribuita all’eccessivo potere degli esecutivi a livello comunitario, che compongono il Consiglio europeo e specialmente il Consiglio, organo intergovernativo per eccellenza; alla mancanza di una costituzione e quindi di un testo di riferimento che regoli tutti i processi organizzativi e decisionali interni; alla scarsa trasparenza dei meccanismi decisionali che non consentirebbe adeguate forme di controllo; alla limitata presenza dei parlamenti nazionali, e quindi degli organi rappresentativi dei cittadini degli Stati membri, a livello europeo; e, last but not least, alla debolezza del Parlamento europeo. Su quest’ultimo profilo in particolare, è senz’altro il caso di precisare che questa critica solo in parte risponde a realtà. Se è vero che i trattati istitutivi avevano delineato un organo con compiti meramente di controllo che nulla avevano a ché vedere con il potere legislativo tradizionalmente attribuito ai parlamenti nazionali, tuttavia i parlamentari eletti hanno lavorato con impegno per rivendicare all’organo un numero sempre maggiore di competenze che lo potessero avvicinare sempre di più agli organi analoghi, riuscendo almeno in parte nell’impresa.

 

E

Elezioni europee

E’ dal 1979 che il Parlamento europeo viene eletto con suffragio universale diretto, secondo quanto stabilito dalla decisione del Consiglio 76/787 del 20 settembre 1976. Con il medesimo atto è stato deciso che ogni Stato avrebbe scelto liberamente la procedura elettorale più appropriata, e sono state altresì definite alcune norme comuni, quali la durata della legislatura – 5 anni -, il divieto di mandato imperativo, lo svolgimento delle elezioni in uno stesso lasso di tempo, tra il giovedì e la domenica della prima settimana di giugno, e che lo spoglio delle schede si sarebbe tenuto dopo la chiusura degli ultimi seggi. L’Italia ha approvato conseguentemente la legge n. 18 del 1979 con la quale ha optato per un sistema elettorale proporzionale, con la suddivisione del territorio in cinque grandi circoscrizioni e con voto di preferenza plurimo. Dopo anni di dibattito, finalmente il Consiglio, con la decisione 2002/772, ha modificato la precedente decisione, introducendo l’obbligo di sistema elettorale proporzionale in tutti gli Stati, pur con alcune differenze da Stato a Stato, stabilendo il divieto del doppio mandato e annunciando il principio dell’unità della campagna elettorale.

Hanno diritto di elettorato attivo e passivo tutti i cittadini europei considerati maggiorenni nello Stato membro di appartenenza, circa 390 milioni di persone. Il 6 e 7 giugno scorsi i cittadini europei si sono recati alle urne per scegliere per la settima volta 736 loro rappresentanti al Parlamento europeo.

 

F

Fondi strutturali e di coesione

I Fondi strutturali e il Fondo di coesione sono gli strumenti finanziari della politica regionale della Comunità europea. L’obiettivo è quello di  consentire una equiparazione dei diversi livelli di sviluppo tra le regioni e tra gli Stati membri, nella realizzazione della coesione economica, sociale e territoriale, che è tra gli scopi enunciati nei trattati istitutivi. Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito nel 1975, finanzia la realizzazione di infrastrutture e investimenti produttivi generatori di occupazione a favore in particolare delle imprese. Il Fondo sociale europeo (FSE), istituito nel 1958, invece, favorisce l’inserimento professionale dei disoccupati e delle categorie sociali meno favorite finanziando in particolare azioni di formazione. Per il periodo 2007-2013, la dotazione finanziaria assegnata alla politica regionale è pari a circa 348 miliardi di euro, di cui 278 miliardi destinati ai Fondi strutturali e 70 al Fondo di coesione. Tale importo rappresenta il 35% del bilancio comunitario, ovvero la seconda voce di spesa. Nel 1994, inoltre, la Comunità europea ha istituito il Fondo di coesione, destinato ai paesi con un PIL medio pro capite inferiore al 90 % della media comunitaria, per accelerare i tempi della convergenza economica. Tramite questo Fondo sono concessi finanziamenti a favore di progetti infrastrutturali nei settori dell’ambiente e dei trasporti. Gli aiuti nell’ambito del Fondo sono tuttavia soggetti ad alcune condizioni. Nel caso in cui lo Stato membro beneficiario presenti un deficit pubblico superiore al 3% del PIL (regole di convergenza dell’UEM), non verrà approvato alcun progetto nuovo fino a quando il deficit non sia di nuovo sotto controllo.

 

G

Gerarchia delle fonti

I Trattati istitutivi definiscono in un unico e apparentemente esaustivo elenco (art. 249 TCE) gli atti che le istituzioni possono adottare, senza tuttavia stabilire una gerarchia tra le fonti. Il ridotto rilievo delle forme, che di norma invece sono essenziali per la determinazione del posto occupato da ciascuna fonte nell’ordinamento di riferimento, è determinato in parte da retaggi internazionalistici che permangono nel sistema e in parte da una certa immaturità del sistema stesso. Tuttavia, grazie soprattutto ai ripetuti interventi della Corte di giustizia, nel tempo è stato possibile stabilire una gerarchia specifica. Al livello più alto si trovano le fonti primarie e originarie, ossia i Trattati che, benché conclusi in forma di accordi internazionali, costituiscono la carta costituzionale della Comunità. Ad un gradino intermedio tra i Trattati e le fonti derivate si collocano i Principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, che hanno la finalità di aiutare a interpretare e a integrare il diritto comunitario e consentono di tutelare i diritti fondamentali nei confronti di atti delle istituzioni comunitarie. Troviamo poi le fonti derivate, che si distinguono in atti normativi, atti non vincolanti e atti innominati. Con riferimento agli atti normativi, i regolamenti sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili, hanno portata generale, sono idonei a produrre effetti diretti verticali e sono spesso accompagnati da regolamenti di attuazione; le direttive vincolano gli stati cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre forma e mezzi sono scelti dagli Stati, possono contenere obblighi per l’attuazione e in alcuni casi vincolare tutti gli Stati, sono di norma attuati con provvedimenti normativi nazionali ma talvolta possono essere self executing, possono produrre effetti diretti verticali solo in relazione a Stati inadempienti; le decisioni, infine, sono obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari da esse designati, di solito impongono l’obbligo di adottare provvedimenti normativi, possono produrre effetti diretti verticali. Tra le fonti non vincolanti si annoverano le raccomandazioni e i pareri e, infine, gli atti c.d. innominati racchiudono un’ampia gamma di atti quali “misure urgenti necessarie, dichiarazioni, risoluzioni, delibere, programmi, “disposizioni del caso”, accordi interistituzionali, ecc.

 

Corte di Giustizia

La Corte di giustizia delle Comunità europee è la principale istituzione giudiziaria della struttura europea, composta da un giudice per Stato membro, scelti tra personalità che offrano garanzie di indipendenza e riuniscano le condizioni richieste per l’esercizio, nei rispettivi Paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, o che siano giureconsulti di notoria competenza. I ventisette giudici, che restano in carica nove anni e che eleggono tra di loro un Presidente per tre anni, con mandato rinnovabile, sono assistiti da otto avvocati generali, nominati per sei anni dagli Stati membri di comune accordo. Creata nel 1952, nell’ambito della CECA, principalmente per verificare la compatibilità degli atti delle istituzioni europee e dei governi con i trattati (ricorso per inadempimento, ricorso per carenza e ricorso per annullamento) e per pronunciarsi, su richiesta di un giudice nazionale, sull’interpretazione o la validità delle disposizioni del diritto comunitario (rinvio pregiudiziale), la Corte di giustizia ha sopportato per lungo tempo una ingente mole di lavoro. Questa persistente congestione ha determinato la decisione di istituire, nel 1989, il Tribunale di I Grado, per alleviare il carico giudiziario.

Nel corso del processo di integrazione è stata fondamentale la funzione attribuita alla Corte di giustizia di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati costitutivi. L’esercizio di tale attività ha consentito alla Corte nel tempo di chiarire spesso in senso evolutivo le disposizioni dei trattati e di completare il quadro normativo comunitario di riferimento.

H

Human rights

Sia concessa la citazione esterofila…per non lasciare vuoti….!!!!

La Comunità europea ha fatto da subito propri, attraverso una serie di sentenze della Corte di giustizia, i principi enunciati nella Convenzione europea sui diritti umani (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 tra i Paesi partecipanti al Consiglio d’Europa. In seguito, ad ogni occasione di riforma dei trattati istitutivi i principi a garanzia del rispetto dei diritti umani sono stati introdotti progressivamente nei testi. Così è stato introdotto uno specifico richiamo al rispetto dei diritti umani sulla base della CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri prima nel preambolo dell’Atto Unico europeo e poi nell’art. 6 del Trattato di Maastricht. Il Trattato di Amsterdam ha poi attribuito alla Corte di giustizia la competenza a vigilare sul rispetto dei diritti fondamentali enunciati nell’art. 6 del trattato e ha introdotto la clausola di sospensione quale forma di sanzione da applicarsi nei confronti di uno Stato membro in caso di violazione dei principi su cui si fonda l’Unione europea.

Ma il momento simbolicamente più alto della storia del processo di integrazione è senz’altro rappresentato dalla firma a Nizza, nell’ambito del Consiglio europeo del dicembre 2000, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che include, tra gli altri, una serie di diritti non tutelati nell’ambito della CEDU, quali i diritti sociali dei lavoratori, la protezione dei dati personali, la bioetica e il diritto a una buona amministrazione.

 

I

Istituzioni

I trattati istitutivi riconoscono quali istituzioni politiche dell’Unione europea il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione e quali istituzioni giudiziarie la Corte di giustizia e la Corte dei conti (che ha la funzione di assicurare il controllo della legittimità e della regolarità delle entrate e delle spese, nonché la sana gestione finanziaria dei conti). Il Consiglio europeo, invece, sebbene rappresenti l’organo di vertice del sistema, non è (ancora) una istituzione (ma l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona dovrebbe farlo rientrare tra le istituzioni). Ad esse i trattati istitutivi hanno affiancato alcuni organi consultivi, in particolare il Comitato economico e sociale e il Comitato delle regioni, come pure il Mediatore europeo, abilitato a ricevere le denunce dei cittadini del’Unione o di qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia sede in uno Stato membro, e riguardanti casi di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni o degli organi comunitari.

Nell’immaginario tempio greco che descrive la complessa struttura dell’Unione europea, le istituzioni comuni sono collocate quale basamento che regge i tre pilastri (le Comunità, la politica estera e di sicurezza comune e la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), le norme sulla cittadinanza comunitaria e le disposizioni sull’Unione europea.

 

L

Lisbona (Trattato di)

Il Trattato di Lisbona è stato firmato il 13 dicembre 2007 dai capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri dell’Unione europea al termine di una lunga fase costituzionale avviata nel 2000 con la Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione, a margine del Consiglio europeo che ha approvato il Trattato di Nizza. Si tratta di un compromesso faticosamente raggiunto dopo il mancato recepimento (a causa dell’esito negativo dei referendum in Francia e Olanda) del tanto discusso Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, predisposto dalla Convenzione europea e firmato a Roma nell’ottobre 2004. Il Trattato di Lisbona, modificativo sia del Trattato che istituisce la Comunità europea (che diventa Trattato sul funzionamento dell’Unione) sia del Trattato sull’Unione europea, nella sostanza recepisce la gran parte delle innovazioni previste dal Trattato costituzionale, pur seguendo il tradizionale metodo di modifica dei trattati rispetto all’innovativa razionalizzazione delle fonti che provava ad attuare il Trattato del 2004. Tra le principali novità che l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona dovrebbe introdurre: l’Unione europea sostituisce e succede alla Comunità, con la soppressione della struttura in pilastri e il riconoscimento della personalità giuridica all’Unione; il Presidente del Consiglio europeo, che diventa istituzione, è eletto a maggioranza qualificata e resta in carica per due anni e mezzo; il Consiglio degli affari esteri è presieduto dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza; la codecisione diventa la procedura legislativa ordinaria; il potere di iniziativa legislativa è esteso ad altri soggetti, quali il Parlamento europeo, un gruppo di Stati, e, in via indiretta, da Corte di giustizia, BCE e BEI; si introduce un meccanismo di early warning per il controllo dell’attuazione dei principi di proporzionalità e sussidiarietà  da parte degli Stati membri.

Ormai ratificato da parte di tutti gli Stati membri ad eccezione dell’Irlanda (il cui referendum ha avuto esito negativo), il Trattato di Lisbona dovrebbe entrare in vigore dopo l’indizione di un secondo referendum in Irlanda, previsto entro il 2009, se questa volta la maggioranza dei consensi si esprimerà in favore.

 

M

Mercato unico

Il mercato unico è senz’altro uno dei successi più tangibili, sebbene dato oggi quasi per scontato, della sfida accolta nel 1957 dai sei Stati fondatori, risultato finale di un percorso iniziato nel 1985, quando, con l’avvio della prima fase, sono state poste in essere disposizioni atte a eliminare le barriere protezionistiche che impedivano fino a quel momento il libero scambio e la libera circolazione tra gli Stati membri. La realizzazione di quello che costituisce uno degli scopi della Comunità (ne è prova l’art. 1 del TCE), e l’attuazione della libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali,  ha determinato l’apertura dei mercati nazionali, favorendo la competizione di un maggior numero di imprese e determinando significative riduzioni dei prezzi e la possibilità di spostarsi liberamente nel territorio, per i viaggi (in base agli accordi di Shengen) e anche per motivi di lavoro, grazie al riconoscimento reciproco di numerosi titoli accademici e professionali tra gli Stati membri. Sul fronte della libera circolazione dei servizi, solo nel 2006 con la tormentata approvazione della Direttiva Bolkenstan sono state approvate disposizioni che consentono alle imprese di offrire servizi transfrontalieri a partire dal Paese in cui hanno sede. Quanto alla libera circolazione dei capitali, esistono tuttora mercati nazionali distinti per quanto concerne i servizi finanziari e i sistemi fiscali. Molti servizi finanziari sono stati liberalizzati solo nel 2005 ed è del marzo 2007 la decisione di unificare i sistemi di pagamento per semplificare l’utilizzo di carte di credito e di debito da parte dei consumatori. I dati confermano che il mercato unico dal 1993, anno della sua nascita ufficiale, ad oggi ha prodotto diversi milioni di posti di lavoro, e, per fare qualche esempio, ridotto il costo delle tariffe aeree e delle telefonate come pure liberalizzato molti servizi pubblici essenziali.

 

Maggioranza qualificata

Il Consiglio può votare all’unanimità o a maggioranza qualificata; il primo metodo vale per lo più per le decisioni nell’ambito del secondo e del terzo pilastro (dove il Trattato di Nizza ha comunque previsto ipotesi di voto a maggioranza qualificata) e solo marginalmente nell’ambito del diritto comunitario (dall’Atto Unico europeo il campo di azione è stato ridotto sensibilmente), mentre la maggioranza qualificata è ormai la regola per le decisioni comunitarie. La maggioranza qualificata viene calcolata secondo il principio della ponderazione dei voti sulla base della consistenza demografica, con una lieve correzione a favore degli Stati meno popolosi. I voti variano tra i 29 attribuiti agli Stati più popolosi (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna) ai 3 assegnati a Malta, per un totale di 345 voti. Nell’attuale Europa a 27, quindi, devono essere espressi almeno 255 voti. Ma il numero dei voti non è il solo requisito da raggiungere, perché è altresì necessario che tali voti siano espressi da un certo numero di Paesi  e che questi rappresentino almeno il 62% della popolazione complessiva (ogni membro del Consiglio può chiedere la verifica di questo requisito). In particolare, quando il Consiglio Quando il Consiglio agisce senza che una proposta della Commissione sia necessaria (campi di politica estera e di sicurezza comune o di cooperazione giudiziaria in materia penale o di polizia), la maggioranza qualificata deve raccogliere almeno i 2/3 degli Stati membri (18), mentre in tutti gli altri casi è sufficiente la maggioranza degli Stati (14).

 

N

Negoziati di adesione

La procedura di adesione all’Unione europea si compone di due fasi, la prima che vede coinvolte le istituzioni comunitarie e la seconda a livello degli Stati membri. In primo luogo il paese candidato presenta apposita domanda di adesione al Consiglio, il quale la invia alla Commissione per un parere. Il Consiglio decide in merito alla domanda all’unanimità e sulla base del rapporto della Commissione e può quindi dichiarare aperti i negoziati di adesione. A questo punto gli Stati membri e il paese candidato iniziano a negoziare a livello intergovernativo il processo di allargamento sulla base di una posizione comune adottata dal Consiglio sempre all’unanimità. Alla fine dell’iter il Parlamento europeo esprime il suo parere, secondo la procedura del parere conforme, a maggioranza assoluta, pertanto solo in caso di parere positivo dell’assemblea legislativa il procedimento continua. Infine, il paese candidato e tutti gli Stati membri firmano e successivamente devono ratificare il trattato di adesione. Gli Stati che intendono fare domanda di adesione devono dimostrare di rispettare i principi enunciati nell’art. 6 TUE, ossia i principi di libertà, di democrazia, di rispetto dei diritti degli uomini e delle libertà fondamentali, così come lo stato di diritto, e soddisfare i criteri di Copenhagen, ossia disporre di istituzioni stabili che assicurino la democrazia, la preminenza del diritto, i diritti dell’uomo e il rispetto delle minoranze, avere un’economia di mercato capace di fronteggiare la pressione concorrenziale, integrare l’acquis comunitario e sottoscrivere gli obiettivi dell’Unione economica monetaria. Ad oggi sono in corso i negoziati per l’adesione della Turchia e della Croazia, mentre Macedonia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Albania sono in lista d’attesa.

 

O

Origini

L’idea di realizzare una forma di unione tra Stati del continente europeo è nata durante il secondo conflitto mondiale, quando un gruppo di intellettuali dell’epoca, guidati dall’italiano Altiero Spinelli, presentò il Manifesto di Ventotene. Questo documento, che si ispirava alle teorie kantiane de “Per la pace perpetua” e al pur fallimentare esperimento della Società delle Nazioni costituita alla fine della I guerra mondiale, prospettava la creazione degli Stati Uniti d’Europa sul modello degli Stati Uniti d’America, quindi uno Stato federale. La teoria federalista, appunto, fu presentata compiutamente nel corso del Congresso dell’Aia del 1948. In quegli stessi anni il francese Jean Monnet, ex vice Segretario generale proprio della Società delle Nazioni, metteva a punto un diverso progetto per la realizzazione dell’integrazione europea, dando vita alla teoria funzionalista. Questa teoria fu esposta pubblicamente per la prima volta il 9 maggio 1951, nella c.d. Dichiarazione dell’ allora ministro degli esteri francese Robert Shuman, di fronte ai capi di Stato e di governo dei maggiori paesi europei riuniti al Quai d’Orsai di Parigi. L’idea era di realizzare un progetto di unificazione anche politica dell’Europa, ma di farlo facendo ricorso a strumenti economici e in particolare alla messa in comune in modo progressivo della gestione delle materie prime, progressivamente e con gradualità. La teoria funzionalista, con la nascita della Comunità economica del carbone e dell’acciaio, ha trovato la sua prima realizzazione e negli hanno ha ispirato la gran parte del cammino di integrazione europea.

 

P

Pilastri

Il II e il III pilastro della complessa struttura dell’Unione europea racchiudono ambiti di competenza della sovranità degli Stati membri (politica estera e di sicurezza comune e cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), con riferimento ai quali tuttavia gli Stati membri hanno deciso di avviare una forma di collaborazione, che mantiene un carattere intergovernativo trattandosi di rapporti di tipo internazionale (quindi fuori dal diritto comunitario) ma che viene realizzata attraverso l’attività delle istituzioni comunitarie per semplicità. L’organo decisionale principale è il Consiglio, che delibera per lo più all’unanimità con alcune differenze tra II e III pilastro. Nel II pilastro, in particolare, le astensioni non impediscono l’assunzione di delibere e si utilizza l’istituto dell’“astensione costruttiva”, secondo cui se uno Stato motiva la sua astensione mediante una dichiarazione formale, non è poi obbligato ad applicare la decisione ancorché impegni l’Unione. Nel III pilastro, invece, il Consiglio è normalmente coadiuvato da un Comitato di coordinamento, composto da alti funzionari. In entrambi i pilastri la Commissione è pienamente associata ai lavori del Consiglio, il Parlamento europeo è coinvolto solo nell’abito PESC per esprimere pareri sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali, mentre la Corte di giustizia è competente per le questioni pregiudiziali nell’ambito del III pilastro, e non ha alcuna competenza nel II. Infine, l’art. 42 TUE contiene una norma “passerella” che consente, con specifica procedura – iniziativa della Commissione o di uno Stato membro e decisione del Consiglio all’unanimità previo parere del Parlamento europeo – di determinare il transito di attività che attengono al III pilastro dal diritto internazionale al diritto comunitario.

 

Parlamento europeo

Il Parlamento europeo è nato come Assemblea comune della CECA nel 1952, per poi divenire Assemblea parlamentare delle tre Comunità nel 1958 e infine assumere la denominazione di Parlamento europeo a far data dal 1962, su decisione dell’organo medesimo. Attualmente composto da 736 eurodeputati (numero destinato a salire a 754 dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona), il Parlamento europeo nomina a maggioranza assoluta il suo Presidente, che resta in carica per metà legislatura, dopodiché si assiste a un avvicendamento (di norma tra esponenti dei due più rappresentativi gruppi parlamentari. Un ufficio di presidenza, composto da 14 vice e 5 questori, coadiuva le funzioni del Presidente, mentre la programmazione dei lavori è affidata alla Conferenza dei Presidenti dei gruppi parlamentari. Come nei parlamenti nazionali, infatti, i deputati si riuniscono in gruppi transnazionali per affinità politiche (composti da almeno 19 MEP eletti in almeno 1/5 degli Stati), anche se non esiste un obbligo in tal senso. L’attività preparatoria è svolta di norma nelle commissioni parlamentari, che possono essere permanenti, temporanee (con competenze, mandato e composizione individuati al momento dell’istituzione), d’inchiesta (ad hoc su istanza di ¼ dei MEP per valutare eventuali violazioni del diritto comunitario e casi di cattiva gestione amministrativa), miste (con parlamentari di Stati associati). Infine, esistono la Conferenza dei Presidenti di commissione, le delegazioni interparlamentari e la Conferenza dei Presidenti delle delegazioni interparlamentari. Il Parlamento europeo ha poteri deliberativi e di bilancio, che condivide con il Consiglio, funzioni di controllo e funzioni consultive

 

 

Procedure decisionali

I trattati individuano per ciascun potere della Comunità europea la base normativa necessaria per provvedere all’approvazione degli atti. Nel tempo di sono stratificate quattro diverse procedure che vedono coinvolti Commissione, Consiglio e Parlamento. L’iniziativa legislativa è della Commissione, che trasmette la proposta, corredata di motivazione, al Consiglio per una prima verifica. La proposta è poi pubblicata nella gazzetta ufficiale delle Comunità europee e inviata alle istituzioni e agli organi competenti. Nelle fasi successive il ruolo e il peso decisionale di Consiglio e Parlamento europeo variano in ragione della procedura da utilizzarsi. Nel caso della procedura di consultazione e di parere conforme, il Parlamento esprime un parere, nel primo caso non obbligatorio (per cui il Consiglio può decidere oltre un certo termine anche se il Parlamento non si è espresso), nel secondo vincolante, per cui il Consiglio adotta l’atto solo se il Parlamento esprime a maggioranza un parere pienamente conforme con il contenuto dell’atto. La procedura di cooperazione, ormai utilizzata in casi limitati, prevede due letture, consentendo al Parlamento di approvare emendamenti all’atto che tuttavia devono essere ogni volta rielaborati per il tramite della Commissione, oppure di respingere l’atto, nel qual caso il Consiglio può adottare l’atto solo all’unanimità e quindi con un aggravio procedurale. Infine, vi è la procedura di codecisione che vede Consiglio e Parlamento lavorare come due camere di un parlamento bicamerale, procedura destinata, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, a divenire l’iter legis ordinario. In questo caso, se Parlamento e Consiglio non addivengono a un testo condiviso nelle prime due letture (nel corso delle quali il Parlamento ha pieno titolo a proporre emendamenti ed, eventualmente, a impedire l’approvazione dell’atto rigettandolo), si passa a una terza lettura nella quale viene istituito un comitato di conciliazione, composto dai componenti del Consiglio e da un numero equivalente di MEP, che ha tempo sei settimane per tentare di raggiungere un accordo su un progetto comune, che poi dovrà comunque essere votato nel plenum dei due organi.

 

 

Q

Questioni pregiudiziali

La Corte di giustizia ha ampie competenze giurisdizionali che esercita nell’ambito delle varie categorie di ricorsi. La Corte è, in particolare, competente a pronunciarsi sui rinvii pregiudiziali e sulle impugnazioni delle decisioni del Tribunale di primo grado, sui ricorsi di annullamento o per carenza presentati da uno Stato membro o da un’istituzione, sui ricorsi per inadempimento diretti contro gli Stati membri. In particolare, con il rinvio pregiudiziale un giudice di un tribunale nazionale di uno Stato membro dell’Unione può, e in alcuni casi deve, chiedere alla Corte di precisare una questione relativa all’interpretazione del diritto comunitario. La Corte con sentenza giuridicamente vincolante fornisce l’interpretazione ufficiale della questione che vale per tutti gli Stati membri. Col ricorso per inadempimento la Corte controlla il rispetto, da parte degli Stati membri, degli obblighi sanciti dal diritto comunitario e della Costituzione. Il ricorso è preceduto da un procedimento preliminare (la cd. procedura di infrazione) avviato dalla Commissione, nel corso del quale lo Stato membro ha la possibilità di rispondere alle accuse. Se tale procedimento non porta lo Stato membro a porre fine all’inadempimento, viene presentato alla Corte di giustizia un ricorso per violazione del diritto comunitario, proposto dalla Commissione oppure da un altro Stato membro. Se la Corte accerta l’inadempimento, lo Stato è tenuto a porvi fine immediatamente. Qualora lo Stato non ottemperi alla sentenza della Corte, la Commissione può avviare una nuova procedura di infrazione che può portare ad un nuovo deferimento dello Stato di fronte alla Corte di giustizia, la quale, se accerta l’inadempimento (mancata esecuzione della sentenza precedente), condanna lo Stato al pagamento di una ammenda. Col ricorso per annullamento la Corte può procedere all’annullamento di un atto legislativo di un’istituzione comunitaria, su proposta degli Stati membri, delle istituzioni o di un privato se l’atto lo riguarda direttamente, dopo aver valutato la legittimità degli atti posti in essere dalle istituzioni comunitarie. L’annullamento è necessario nei casi di incompetenza dell’atto, violazione delle forme sostanziali, violazione del Trattato, eccesso di potere (da parte dell’istituzione stessa). Con il ricorso per carenza, invece, la Corte di giustizia e il Tribunale vagliano la legittimità dell’inerzia delle istituzioni comunitarie, ma solo dopo che l’istituzione sia stata invitata ad agire. Esistono infine procedure specifiche per il risarcimento dei danni, l’impugnazione di decisioni assunte dal tribunale di primo grado, eventualmente provvedendo a un riesame degli atti.

 

R

Ripartizione delle competenze

Le competenze esclusive della Comunità, cioè materie nelle quali l’attività normativa degli Stati membri può svolgersi solo in esecuzione di atti comunitari o con l’autorizzazione delle istituzioni comunitarie, sono regolate dal principio di attribuzione, secondo cui la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono stati assegnati. Rientrano tra le competenze esclusive l’unione doganale, le regole della concorrenza per il mercato comune, la politica monetaria e la politica commerciale comune. Esiste poi una clausola di flessibilità quale rimedio per i casi in cui è stabilita una competenza della Comunità, per la realizzazione di uno degli scopi, ma non sono indicati i poteri per esercitarla. Il principio di sussidiarietà, invece, regola le competenze concorrenti tra Comunità e Stati membri, quegli ambiti nei quali le politiche comunitarie si limitano a integrare quelle svolte dagli Stati membri. Mercato interno, coesione economica, sociale e territoriale, agricoltura, pesca, ambiente, protezione dei consumatori, trasporti, energia e spazio di libertà, sicurezza e giustizia sono i principali ambiti di competenza concorrente. Il principio di proporzionalità, secondo cui l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del Trattato, costituisce un limite alle competenze comunitarie. Tale limite vale sia in relazione all’attività normativa comunitaria sia alle modalità per svolgerla.

 

 

S

Sussidiarietà

Il principio di sussidiarietà è senz’altro uno dei più importanti istituti su cui si fonda l’Unione europea. Enunciato per la prima volta nel Trattato di Maastricht che ha istituito l’Unione europea, esso recita che “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”. Tale principio in termini generali regola i rapporti tra i diversi livelli di governo, nel senso che la Comunità europea interviene a legiferare, nell’ambito delle materie concorrenti, soltanto qualora i livelli di governo più vicini ai cittadini non siano in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze. Lungi dal costituire un limite alla normativa comunitaria, tale principio svolge piuttosto il ruolo di regola procedurale che induce, ogniqualvolta si tratti di individuare quale livello debba occuparsi di una materia concorrente, a una valutazione comparativa tra ciò che gli Stati membri potrebbero fare per raggiungere un certo obiettivo e ciò ch invece è in grado di realizzare allo stesso fine la Comunità.

E’ del 1993 il primo Accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione per l’attuazione del principio di sussidiarietà, nel quale è stato definito, in primis, che la Commissione deve giustificare ogni proposta normativa nelle motivazioni con riguardo al principio di sussidiarietà. Nel 1997, poi, è stato allegato al Trattato di Amsterdam un Protocollo sul’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, che introduce, tra l’altro, l’analisi sistematica dell’impatto delle proposte legislative sul principio di sussidiarietà, e il ricorso, ove possibile, alle misure comunitarie meno vincolanti.

 

Sedi

Un profilo piuttosto discusso, con riferimento all’Unione europea, riguarda il complesso sistema delle sedi delle istituzioni e in particolare del Parlamento europeo, che a tutt’oggi si divide tra tre differenti sedi. Insediatosi in un primo tempo a Strasburgo secondo la decisione della Conferenza di Parigi del luglio 1952, contando sulla possibilità di appoggiarsi al Segretariato del già costituito Consiglio d’Europa, fatta eccezione per il suo Segretariato che si è stabilito da subito a Lussemburgo, allora sede dell’Alta autorità CECA e delle altre istituzioni, il Parlamento europeo ha poi impiegato del tempo per rendersi indipendente. Tale esigenza è divenuta vieppiù pressante soprattutto in ragione della confusione tra i due organismi riscontrata nell’opinione pubblica, sicché dapprima l’Assemblea comune ha deciso, nella seconda metà degli anni ’50, di tenere alcune riunioni presso le sedi dei parlamenti degli Stati membri, per poi ripensare tutta l’organizzazione con la nascita della CEE e dell’Euratom nel 1957. Nell’occasione sono state confermate Strasburgo quale sede di riunione dell’Assemblea comune e Lussemburgo come sede del Segretariato, mentre la collocazione delle istituzioni esecutive, Consiglio e Commissione, a Bruxelles ha comportato che le commissioni parlamentari si riunissero proprio nella capitale belga per esigenze di semplificazione dei contatti. Tale situazione provvisoria si è poi mantenuta nel tempo a causa della difficoltà insormontabile incontrata dai governi degli Stati membri, che non sono riusciti a raggiungere una decisione condivisa all’unanimità.

 

T

Trattati

I trattati sono la fonte primaria e originaria del sistema comunitario, collocandosi implicitamente a un livello superiore rispetto alle fonti adottate dalle istituzioni. Si tratta di una fonte dalla natura ambivalente, infatti, all’esterno dell’Unione europea i trattati sono la fonte tipica del diritto internazionale, e ne è prova il fatto che la procedura di modifica, secondo l’art. 48 TUE, prevede la convocazione su iniziativa dei Governi o della Commissione di una Conferenza intergovernativa, che riunisce i rappresentanti dei Governi degli Stati membri, la quale provvede all’approvazione di un nuovo testo. Questo testo dovrà poi essere ratificato da ogni Stato membro conformemente alle rispettive disposizioni nazionali. All’interno dell’Unione, tuttavia, come ha affermato un ormai storico parere della Corte di giustizia, il n. 1 del 1991, “il Trattato CE, benché sia stato concluso in forma d’accordo internazionale, costituisce la carta costituzionale di una comunità di diritto”. A suffragio del valore di costituzione che i trattati hanno assunto nell’ambito dell’Unione va il limite alla revisione per la parte concernente i principi fondamentali della Comunità che la Corte di giustizia ha riconosciuto e che comporta che gli Stati membri non siano più padroni dei trattati, una volta che questi sono stati ratificati.

 

 

U

Unione europea

L’Unione europea nasce con il Trattato di Maastricht nel 1992 per rispondere a due esigenze in particolare e per raggiungere determinati obiettivi. L’Unione europea è infatti prima di tutto una organizzazione giuridica, pensata per coordinare insieme la complessa struttura che si stava delineando, e così essa è strutturata sui tre pilastri e ha un sistema istituzionale unico e norme comuni di coordinamento. Il Trattato istitutivo non le riconosce personalità giuridica, sebbene molti ritengano di dovergliela comunque attribuire, per cui sul punto talvolta si possono creare fraintendimenti. Ma l’Unione europea è altresì un progetto politico che segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile, così come affermato nel primo articolo.  Le finalità dell’Unione europea sono poi chiaramente espresse dal secondo articolo:

“-  promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile, segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica, in conformità delle disposizioni del presente trattato;

–  affermare la sua identità sulla scena internazionale, segnatamente mediante l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune che potrebbe, successivamente, condurre ad una difesa comune;

–  rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione;

–  sviluppare una stretta cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni;

–  mantenere integralmente l’«acquis» comunitario e svilupparlo al fine di valutare, attraverso la procedura prevista all’articolo N, paragrafo 2, in quale misura si renda necessario rivedere le politiche e le forme di cooperazione instaurate dal presente trattato allo scopo di garantire l’efficacia dei meccanismi e delle istituzioni comunitarie.

Gli obiettivi dell’Unione saranno perseguiti conformemente alle disposizioni del presente trattato, alle condizioni e secondo il ritmo ivi fissati, nel rispetto del principio di sussidiarietà definito all’articolo 3 B del trattato che istituisce la Comunità europea”.

 

 

Unione Economica Monetaria

L’Unione economica e monetaria e’ un progetto per la creazione di una moneta unica comune a tutti gli Stati membri che la Comunità europea ha avviato a partire dall’inizio degli anni Novanta. La Conferenza intergovernativa di Maastricht del dicembre 1991 aveva previsto un percorso in tre fasi per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Una prima fase, dal 1° luglio 1990 al 31 dicembre 1993, aveva come obiettivi principali la libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri, il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche e l’intensificazione della cooperazione tra banche centrali; la seconda fase, dal 1° gennaio 1994 al 30 dicembre 1998, doveva portare alla convergenza delle politiche economiche e monetarie degli Stati membri (al fine di garantire la stabilità dei prezzi e finanze pubbliche sane), alla creazione dell’Istituto monetario europeo  e poi della Banca centrale europea nel 1998; infine, nella terza fase, dal 1° gennaio 1999, si è assistito alla fissazione dei tassi di cambio e alla introduzione della moneta unica (l’euro) sui mercati dei cambi e per i pagamenti elettronici. Dal 1° gennaio 2002 è iniziata la circolazione monetaria dell’euro. Non tutti gli Stati membri hanno adottato la moneta unica, poiché il Regno Unito e la Danimarca beneficiano di una clausola di esenzione detta di “opt-out” e la Svezia non ha introdotto l’euro in seguito ad un referendum negativo nel settembre 2003. Infine, gli Stati che hanno aderito all’Unione negli ultimi allargamenti del 2004 e del 2007 sono tenuti ad adottare l’euro non appena soddisferanno tutti i criteri di convergenza. Non è stata accordata loro alcuna clausola di esenzione nei negoziati di adesione. Tra questi Cipro, Malta, Slovacchia e Slovenia hanno già adottato l’euro. Oltre agli Stati membri, alcuni microstati (Città del Vaticano, il Principato di Monaco e San Marino) hanno adottato l’euro in virtù delle preesistenti condizioni di unione monetaria con paesi membri della UE. Infine, Andorra, il Montenegro e la regione indipendentista serba del Kosovo hanno adottato unilateralmente l’euro.

 

V

Velocità (Europa a due)

Comunemente si utilizza l’espressione Europa a due velocità per fare riferimento all’istituto della cooperazione rafforzata, uno strumento istituito con il Trattato di Amsterdam al fine di favorire una cooperazione più stretta tra gli Stati membri che desiderano andare oltre l’integrazione prevista dai Trattati. A far data dall’entrata in vigore del Trattato di Nizza questo strumento può essere adoperato anche nell’ambito del II pilastro (PESC). Gli Stati membri che intendano avvalersene, possono proseguire nell’approfondimento della costruzione europea, nel rispetto del quadro istituzionale unico dell’Unione europea, con l’accordo del Consiglio, che decide a maggioranza qualificata (ma all’unanimità sugli aspetti finanziari), e su parere del Parlamento europeo. E’ necessario il rispetto di alcune condizioni perché si possa proseguire nella cooperazione rafforzata. In particolare, l’ambito al quale si applica la cooperazione rafforzata non deve rientrare nelle competenze esclusive della Comunità, l’azione deve tendere a realizzare gli obiettivi dell’Unione europea, devono sempre essere rispettati i principi contenuti nei Trattati e l’acquis comunitario, si tratta comunque di uno strumento di ultima istanza e che deve essere attivato da almeno otto Stati, l’ingresso di altri Stati membri deve sempre essere consentito e non devono crearsi influenze negativo sul mercato interno e la coesione economica e sociale.

 

Z

Zona Schengen

Nel 1985 Francia, Germania e i Paesi del Benelux hanno firmato un accordo a Schengen, con lo scopo di sopprimere progressivamente i controlli alle frontiere comuni e di instaurare un regime di libera circolazione per i cittadini dei loro Stati, degli altri Stati membri della Comunità europea e per quelli dei paesi terzi. Tale accordo è stato poi completato con la firma nel 1990, da parte degli stessi Stati, dell’omonima Convenzione che è poi entrata in vigore nel 1995, con la quale sono state definite le condizioni di applicazione e le garanzie di messa in opera della libera circolazione. Gli accordi di Schengen sono stati estesi nel tempo all’insieme dei quindici vecchi Stati membri: l’Italia ha firmato gli accordi nel 1990, la Spagna e il Portogallo nel 1991, la Grecia nel 1992, l’Austria nel 1995 e la Finlandia, la Svezia e la Danimarca (con uno statuto adattato) nel 1996. L’Irlanda e il Regno Unito partecipano, dal canto loro, solo parzialmente all’acquis di Schengen, in quanto sono stati mantenuti i controlli alle loro frontiere. Gli Stati che hanno fatto il loro ingresso nell’Unione europea hanno accolto i contenuti dell’acquis di Schegen che dal 1999 è stato integrato nei Trattati, in parte nel II e in parte nel III pilastro, attraverso un Protocollo annesso al Trattato di Amsterdam. Anche due paesi terzi, l’Islanda e la Norvegia, fanno parte dello spazio di Schengen dal 1996. La loro partecipazione al processo decisionale è tuttavia limitata. La Svizzera ha peraltro avviato un processo di partecipazione all’acquis di Schengen. In ogni caso l’eliminazione dei controlli alle frontiere di questi paesi avviene solo in seguito a decisione del Consiglio, che ha sostituito il Comitato esecutivo di Schengen, che ha il supporto del Segretariato del Consiglio in luogo del Segretariato Schengen istituito negli anni

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