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E’ questa la via per il domani?

Cosa hanno in comune una ragazza potentina di 23 anni ed un giovane ingegnere israeliano di 26 anni? La loro storia, o meglio la fine della loro storia. Laura Lamberti, è questo il nome della ragazza di origine lucane deceduta domenica 16 agosto. Dell’israeliano ancora non si conosce l’identità, ma solo l’età.
Null’altro in comune se non la voglia di sballarsi, di arrivare al limite per poi irrimediabilmente superarlo. Spesso si riesce a tornare indietro, il più delle volte non si è più la stessa persona.. Altre volte invece indietro non si torna più, non so cosa sia meglio..
Si scrivono Rave-Party, si leggono Death-Party, i parti della morte. Fa specie vedere che partecipano migliaia di persone, fa ancor più specie sapere che a parteciparvi sono sempre più spesso i figli di papà, i giovani con le carte di credito nei jeans. Laura era una di questi: figlia di due noti medici e nipote del famoso ex parlamentare della Margherita Giuseppe Molinari. Lei che neodiciottenne è voluta fuggire in giro per l’Europa dove oltre agli amici aveva conosciuto l’alcool e la droga.
Due casi simili e divisi solamente da poche centinaia di chilometri. Due rave nel sud d’Italia, uno in Provincia di Campobasso in una località chiamata Bocca della Selva ed un altro a Diso in provincia di Lecce. Minimo comun denominatore i decibel, gli alcolici e le droghe di ogni genere: Lsd, cocaina, eroina, marijuana e perfino oppio puro.
Due località passate alle cronache che sono solo la punta di un iceberg molto più grande. Di questi party in Italia ce ne sono stati più di dieci nel sol periodo di Ferragosto.
Due ragazzi stroncati da overdose in piena mattinata di domenica 16 agosto. Erano lì per provare emozioni, per giovare con la vita; erano lì da giorni con l’obiettivo di sovvertire le regole e protestare contro chissà cosa in nome dell’illegalità. O forse erano lì perché non sarebbero potuti essere in altro dove, magari risucchiati per via di un carattere chiuso o timido, o magari semplicemente per paura di uno tra tanti, senza distinguo. Ed invece tra tanti hanno perso la vita, senza sentir il gelo di un letto d’ospedale, assolti da stupefacenti e da tanto alcool, che forse da troppo tempo logorava il fegato prima che la mente.
Nelle prossime ore si penserà a come punire gli organizzatori (non farlo sarebbe un’ulteriore sconfitta) e a fare proclami su come limitare questi incontri della morte (siamo abituati, sappiamo già che servirà a ben poco).. Poi sarà la volta delle interrogazioni, degli editoriali su tutti i giornali con firme illustri, delle trasmissioni televisive che serviranno solo a dar pubblicità a chi organizza queste schifenze per professione, sarà un po’ come dare voce ai brigatisti o ai terroristi (in Italia, nonostante il celebre monito di Napolitano, ancora funziona così …).
Ed io mi chiedo perché oggi, in una società figlia di sacrifici sociali e pagine di giornali che quotidianamente celebrano morti e sentenze, ci sia ancora la necessità di sballarsi per divertirsi. Come se il divertimento fosse figlio della finzione piuttosto che del proprio carattere e della gioia di vivere. Mi chiedo come cresceremo se a 16 anni le nostre amiche si ubriacano durante falò notturni e credono di essere state violentate venendo poi smentite da compagne di avventura. Mi chiedo come possiamo avere un Paese migliore se per farci notare ed avere “la scena” dobbiamo stordirci. Mi chiedo come potremo diventare dei buoni padri se non siamo dei buoni figli. Mi chiedo se per fare l’Italia serve passare i week end ubriachi fracidi rotolando traballanti tra deiezioni e “vomitaticci” di ogni specie. Mi chiedo infine come possiamo pensare al domani se oggi il nostro motto è l’abbattimento della legalità …
Mi faccio tutte queste domande perché viene a me il vomito a pensare ad ogni festa al problema “chi compra i superalcolici”.. Ci si ubriaca perché si ha paura di essere se stessi, senza pensare che magari è proprio quella la nostra bellezza, la nostra particolarità, la nostra vita. Chi ha queste paure non deve bere, non deve drogarsi, non deve distorcere la propria dimensione, deve solo avere coraggio, quel coraggio che ti fa dire “questo sono io e voi non siete un cazzo”.

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