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E il sud che fine ha fatto?

E’ stato il tormentone dell’estate. Riproposto dai mass media  in tutte le salse possibili. Argomento di discussione con il vicino d’ombrellone e buono spunto per riempire per oltre un mese le pagine dei quotidiani.
Ma sul più bello, con la ripresa delle attività politiche, i giornali e le tv hanno ritenuto opportuno metterci una pietra sopra. Anzi, un macigno. E del “povero sud” si sono già perse le tracce.
Nulla di nuovo nell’Italia stampata del terzo millennio: si sfrutta l’emozionalità del momento, il tema viene consumato con una fretta disarmante. E poi si passa alla fase 3: tutto viene rimosso per lasciare spazio a un altro, all’apparenza eclatante, caso mediatico.
Adesso i giornali che fanno? Si piangono addosso. Lamentano fantomatici attacchi alla libertà di stampa, esaltano loro stessi in nome di una patologica e controproducente autoreferenzialità. Di quello che accade davvero fuori importa poco o nulla.
La stampa, se vuole riconquistare credibilità e autorevolezza e se vuole davvero “vigilare” sul potere italiaco, deve tornare a occuparsi dei problemi reali. Quelli che toccano da vicino le persone e che la politica, nostro malgrado, non riesce ancora a risolvere.
Accendere i riflettori sui ritardi dell’Italia meridionale e sulle inefficienze della politica locale, è servito, per un breve periodo, a stimolare l’opinione pubblica e la stessa classe dirigente. Che andrebbe pressata su questioni serie e non sui peccati privati dei suoi protagonisti.
La tanto osannata libertà di stampa dovrebbe essere utilizzata in modo più costruttivo:  per avvicinare la gente al palazzo e renderla quindi  partecipe alle decisioni cruciali per il Paese. E non per screditare il leader di turno o rincorrere l’ultimo pettegolezzo.

 

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