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Università Italiana: è arrivata l’ora del cambiamento

Mi è capitato in più di una occasione di trovarmi a parlare con compagni di studio sui problemi che affliggono l’università Italiana e spesso e volentieri è emersa l’insoddisfazione di formarci e di costruirci negli atenei del nostro paese.
È inaccettabile e preoccupante che l’università italiana annualmente produca meno laureati del Cile e che nella classifica dei primi 150 atenei al mondo non c’è uno Italiano.
L’università Italiana riesce però a primeggiare nella triste classifica degli sprechi. Ecco alcuni dati sulla quale riflettere: nel nostro paese esistono 37 corsi di laurea con solo 1 studente iscritto, ben 327 facoltà non hanno più di 15 iscritti, 94 sono le università con più 320 sedi distaccate, 5500 sono i corsi di laurea e 170000 le materie insegnate rispetto alle 90000 della media Europea.
La situazione è ancora più incresciosa se si pensa ad alcune università che presentano nei loro bilanci buchi, anzi voragini che se fossero state aziende private avrebbero portato al licenziamento in tronco di chi le ha gestite. E invece, ci sono rettori in Italia che sono sulla loro poltrona anche da più di 15 anni.
Il mondo accademico italiano viene gestito come un grande enorme centro di collocamento: negli ultimi 7 anni sono stati banditi concorsi per 13.232 posti da professore associato ma i promossi sono stati 26.000. Nel 99,3% dei casi sono stati promossi dei candidati senza che ci fosse un posto realmente disponibile. Le cattedre si moltiplicano senza tenere conto delle esigenze degli studenti; infatti i ragazzi sono sottoposti ad un carico di ore di lezione triplo rispetto alla media dei loro colleghi europei.
Ovvio è che analizzando questi dati ci si rende conto che le vittime di questa situazione sono due: gli studenti e la ricerca.
Difficile è pensare che davanti a sprechi cosi grandi di risorse ed al proliferare di sedi universitarie possano essere svolti progetti di ricerca adeguati al panorama competitivo internazionale.
Ormai noi studenti non sembriamo essere più al centro dell’università, ma al contrario un fattore residuale. Non vengono prese più in considerazione le nostre esigenze e le nostre aspirazioni.  
L’università italiana è stata in tempi non remoti uno strumento straordinario di mobilità sociale, e perché torni ad esserlo bisogna concentrare gli sforzi sulla qualità dell’offerta e dei servizi.
Corsi di laurea dequalificanti danneggiano soprattutto studenti che provengono da situazioni meno privilegiate perché offrono un surrogato spesso inutile di una vera e propria educazione universitaria: prova ne è l’altissimo tasso di abbandono delle nostre università.
Bisogna fare in modo che le università immettano nel modo del lavoro una nuova leva di laureati triennali ben preparati, è quindi indispensabile la consapevolezza da parte degli atenei della propria missione e della propria responsabilità.
Le nuove norme previste dal decreto ministeriale 270 offrono l’occasione che non va assolutamente persa di riformulare secondo criteri più rigorosi l’offerta formativa.
Tra la maggior parte di noi studenti si ha la percezione che il Governo con in testa il Ministro si stia impegnando per dare al paese un’università più moderna, più efficace capace di proiettare il nostro sistema universitario verso i migliori standard internazionali, per costruire finalmente una nuova realtà accademica capace di razionalizzare e valorizzare le risorse a disposizione.

*Senatore accademico università Roma Tre

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