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Per il meridione spunta la ricetta Brunetta

Mentre continuano gli incontri del Pdl sulla questione meridionale, il Governo approva la mozione Gasparri sul FAS e il Pdl chiude la prima partita verso il nuovo programma per il Mezzogiorno.
Nonostante piccole sfumature di divergenza politica, tutti i gruppi, esclusa la lega che ha appoggiato il Pdl al momento del voto finale, avevano chiesto al Governo di applicare rigorosamente i principi generali di riparto del Fas (85% al Mezzogiorno, 15% al resto del Paese), ma proprio quando i fini comuni sembravano convergere, ecco i primi problemi: mentre Pd, IdV e Udc chiedevano il ripristino immediato delle risorse sottratte al Fas, come previsto dalla ormai lontana n.5 del 2002, la mozione del PdL chiedeva al governo di predisporre un Piano per il Mezzogiorno per concentrare l’attenzione sui fattori critici che hanno ridotto la competitività dell’area.
Le richieste tra maggioranza e opposizione non si sono incontrate al momento di intervenire con provvedimenti concreti e risolutivi, mirati a risolvere le problematiche esistenti alla luce dell’attuale assetto economico.
Mentre l’opposizione chiedeva un ripristino totale dei FAS, come nel caso della mozione Finocchiaro, e interveniva con la solita linea di condotta del nihil mutatur, la filosofia del panta rei del Pdl, con la mozione Gasparri, poneva le richieste per l’inserimento del FAS in un programma più ampio sul Mezzogiorno.
Il perché di questa richiesta arriva in seguito a un errore del precedente Governo Prodi: intervenendo con tre atti sulla finanziaria del 2008 l’allora Governo trasformò il FAS in una sorta di polmone finanziario ridotto o ricostituito a secondo delle necessità della effettiva erogazione della spesa. Da qui, il problema per la maggioranza si sposta sull’impatto che i programmi di spesa hanno avuto sul Mezzogiorno. Per questo motivo, il Pdl ha chiesto un nuovo programma di attuazione che assicuri l’efficacia dei programmi politici.  
A questo proposito, nell’ultimo convegno Pdl a Napoli è spuntata la ricetta Brunetta: risoluzione del deficit di società civile, infrastrutture e funzionamento dello Stato senza intercedere con le dinamiche di mercato.
Torna l’ipotesi della cabina di regia, collocata in ambito della PCM che, sotto il coordinamento del Presidente del Consiglio e su delega dello Stato e delle Regioni, assume le funzioni di struttura tecnica intergovernativa con il compito di coordinare la realizzazione degli interventi programmati.
Dov’è la novità con i passati provvedimenti? Quello che emerge è un programma dove lo Stato sembra non svolgere solo il ruolo di chi ha il dovere istituzionale di contribuire a colmare il gap infrastrutturale interno al mezzogiorno, ma intende investire nello sviluppo delle risorse umane per una società civile dove gli investimenti pubblici avranno meno spazio per essere impiegati a produrre sprechi, clientele e dipendenza.
Resta una perplessità: le tempistiche. Secondo Brunetta il Governo si porrà un tempo massimo di cinque anni per la realizzazione del progetto. L’obiettivo è un po’ ambizioso per un Paese dove il debito pubblico e le diversità culturali sono fenomeni radicati dai tempi della DC ed investire sulle “risorse umane” richiede tempi di maturazione che vanno oltre il quinquennio. Per pronostici più concreti e alla luce di un’economia attualmente fuori dall’ordinario, le tempistiche previste sono giuste se si pensa intanto a una manovra risolutiva di tipo strutturale che trovi soluzioni d’emergenza sugli investimenti e le infrastrutture, come dimostrato dalle delibere del CIPE e dai progetti sull’hub portuale di Taranto, il corridoio Bari Napoli e il rilancio dei centri di ricerca e dell’industria elettro-meccanica della Campania. Inoltre, nonostante il rilancio dell’economia reale sia passato in questi mesi attraverso misure di emergenza preventiva prese, sarà necessario ripristinare all’interno del nuovo programma le risorse destinate precedentemente ai FAS e diversamente investite.

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