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La cultura sempre gratis aiuterà i soliti burocrati

Per molta gente la cultura è un sovrappiù, un lusso, uno svago, qualcosa che serve per fare bella figura o per intrattenere gli ospiti. Non viene vista come un patrimonio personale di conoscenze, il frutto di decenni di studio, di impegno, uno strumento per risolvere problemi sociali ed umani e che, perciò, ha un valore economico come qualsiasi altro sapere.
Me ne accorgo perché sono molti quelli che mi chiedono una conferenza, un’intervista, una prefazione, un filmato, un intervento televisivo, che mi mandano libri e manoscritti da leggere, che mi invitano a dibattiti e lo considerano con naturalezza un atto gratuito.
Le stesse persone, quando si rivolgono ad un chirurgo, ad un ingegnere, ad un architetto, ad un avvocato, chiedono quali sono i loro onorari. E questa mentalità deve averla anche il ministro dell’Economia perché, per risparmiare, ha imposto per legge che solo gli amministratori delle fondazioni culturali (a differenza di quelli delle società che devono essere pagati) siano costretti a fare il loro lavoro a titolo onorifico.
Questo anche se svolgono la stessa identica funzione degli altri, cioè quando sono presidente e amministratore delegato di una fondazione in cui lavorano centinaia di dipendenti, di docenti, di artisti con una intensa attività produttiva. Anche se vi dedicano tutte le loro energie e hanno gravissime responsabilità legali.
Quando c’è l’etichetta di «Fondazione culturale» anche l’attività imprenditoriale che produce profitti e genera un patrimonio, in Italia, oggi, per legge deve essere considerata «onorifica».
Impedendo di retribuire gli studiosi e gli artisti che svolgono una difficile funzione imprenditoriale, il governo li spinge ad andarsene e così, al loro posto, subentrerà un funzionario, un burocrate, che potrà fare solo attività di routine.
L’effetto è quello della burocratizzazione delle attività culturali, l’eliminazione delle élite creative dai vertici di tutto il settore culturale pubblico. Sono cose che succedono nei Paesi in cui la classe politica non vuole esser disturbata da gente che pensa in modo indipendente.
Nel dopoguerra in Italia la classe politica era molto colta. Moltissimi venivano dal giornalismo o erano professori universitari. C’erano anche degli ottimi amministratori. Nessuno oggi pretende di ritornare alla situazione dei padri fondatori. Ma evitiamo perlomeno di aggravare la situazione e cerchiamo di salvare quello che funziona bene. (da il Corriere della Sera del 14 febbraio 2011).

 

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