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Geni maledetti alle porte dell’inferno

Massimiliano Lenzi, giornalista di talento che presta la penna al Foglio, il tempo a Roma a La7, ma ha il cuore da sempre tra Firenze e Montecatini, firma insieme ad altri colleghi una serie di affreschi di protagonisti della nostra storia moderna e contemporanea: pittori, musicisti, filosofi, scrittori, talenti straordinari escono come vivi da questa bella pubblicazione recentemente edita da Vallecchi, «I Maledetti. Van Gogh, Nietzsche, Rolling Stones e altre vite verso l’Inferno».
A noi è piaciuto molto il racconto che Lenzi fa della vita di Cagliostro e ne proponiamo uno stralcio ai nostri lettori.
Aix-en-Provence, Francia, 1769. Giacomo Casanova, veneziano, è ancora sofferente per i postumi di una brutta polmonite che gli ha infiammato la pleura. Si annoia e inganna il tempo giocando a carte, facendo l’amore e incontrando uomini e donne nei salotti della città. Ha quarantaquattro anni e il suo declino fisico è appena cominciato, nei miracoli non ci ha mai creduto ma l’umanità lo incuriosisce ancora. Per questo il viso beffardo e ardito di un uomo, tale Giuseppe Balsamo di passaggio in città con la moglie Serafina, al ritorno da un pellegrinaggio in Spagna, lo scuote dal torpore della sua convalescenza.
Quel viso beffardo erano i tratti del conte di Cagliostro. «Un giorno a tavola – scriverà Casanova nei suoi Memoires, vent’anni dopo – il discorso cadde sopra un pellegrino e una pellegrina che erano giunti da poco. Essi erano italiani e venivano a piedi da San Giacomo di Campostella, in Galizia; e dovevano essere persone di alto rango perché arrivando in città avevano distribuito abbondanti elemosine.
Si diceva che la pellegrina doveva essere molto bella, di circa diciott’anni, e che, molto stanca, appena arrivata, era andata a dormire. Il pellegrino e la pellegrina abitavano lo stesso albergo; il che ci rese tutti molto curiosi. Nella mia qualità di italiano dovetti mettermi alla testa della brigata per andare a fare una visita a quei due personaggi che dovevano essere due fanatici o due bricconi.
Trovammo la pellegrina sprofondata in una poltrona con l’aria di una persona affranta dalla fatica. Ella era singolarmente interessante per la giovane età che dimostrava, per la sua rara bellezza velata da un’espressione di strana malinconia, e per un crocifisso di metallo giallo, lungo sei pollici, che teneva tra le mani. Al nostro apparire ella posò il crocifisso e si alzò in piedi per farci una graziosa accoglienza.
Il pellegrino, occupato ad attaccare delle conchiglie al suo mantello di tela cerata, non si mosse. Posando gli sguardi sulla sua donna, parve volerci dire che non dovevamo occuparci che di lei. Dimostrava ventiquattro o venticinque anni. Era basso, ma ben fatto: sulla faccia, quasi spettrale, aveva i tratti dell’arditezza, della sfrontatezza, del sarcasmo e della bricconeria.
Quei due esseri, che non parlavano francese se non per quanto era loro indispensabile per farsi capire, respirarono quando rivolsi la parola in italiano. […] Ella si chiamava Serafina Feliciani, nome che non cambiò mai; mentre il suo compagno era Cagliostro».
Il mistero e la condanna di un uomo, Giuseppe Balsamo, di cui hanno scritto Alexandre Dumas e i papi – che lo affidarono alla Santa Inquisizione –, di cui si è innamorato il cinema – il suo ruolo è stato interpretato pure da Orson Welles, il regista di Quarto Potere –, adorato dalla massoneria, evocato come capace di miracoli, esploratore al di là dell’umano, cercatore di danari e della pietra filosofale, comincia da queste parole vergate da Casanova, il più grande seduttore di donne di tutti i tempi che finirà, nonostante il suo stoicismo, con l’essere sedotto da Cagliostro: lui bello e baldanzoso, l’altro basso, furbo e palermitano: era nato nel capoluogo siciliano il 2 giugno 1743.
Entrambi maledetti. L’infanzia e l’adolescenza Giuseppe le trascorre tra i conventi. Qui, nella quotidianità con i frati, apprende i primi segreti dell’arte delle spezie e delle erbe, ancora sospesa nel ‘700 tra la chimica e il tirare a indovinare. Sarà un amore a prima vista, quello con gli intrugli, e se lo porterà dietro per sempre.
La sua biografia, perlomeno quella che lo consegnerà alla storia, ha però inizio più tardi, nell’anno 1768 a Roma. Giuseppe ha ventitré anni, quando si unisce in matrimonio con Lorenza Feliciani (detta Serafina), una ragazza di quattordici anni, bellissima. Certo a sentir lui la leggenda lo avrebbe sempre preceduto, convinto com’era – ma lo era veramente? – di arrivare da terre misteriose, di esser stato bambino a La Mecca e di aver appreso i misteri dei sacerdoti egizi da Altotas.
La sua esistenza, sin dalla prima giovinezza, per questo sospendersi tra menzogna e realtà, tra finzione e verosimiglianza sarà un continuo braccio di ferro con la Chiesa e la maledizione. Come Padre Pio che – e il paragone non suoni blasfemo ai credenti, non è nostra intenzione – avrà in padre Agostino Gemelli l’uomo che con la ragione cercherà di confutarne l’eccezionalità così Cagliostro, per nulla santo – a differenza del frate di Pietrelcina –, troverà sempre nella Chiesa, monsignori, vescovi, Inquisizione, il contrappasso di ferro alle sue presunte mirabilie. Per monsignor Giuseppe Barberi, ad esempio, uomo del Sant’Uffizio alla fine del XVIII secolo, Giuseppe Balsamo non sarebbe stato null’altro che un volgare truffatore giramondo, aiutato in questo gabbare gli ingenui dall’avvenenza della sua donna, Lorenza, perché negli umani la sensualità è più forte persino della magia. È il suo destino, bizzarro sino al paradosso se pure uno scrittore laico e contemporaneo come Umberto Eco, quando scrive di lui in un volumetto dal titolo Tra menzogna e ironia, lo apostrofa come «l’archetipo eterno dell’uomo senza qualità».
Che Cagliostro sia stato un maledetto non ci sono dubbi e il memento – a uso degli increduli – è questo: 1771, Londra: Serafina e il conte sono in Inghilterra per il loro primo viaggio e lui finisce in galera per delle somme di danaro avute in prestito e mai restituite. L’anno dopo, a Parigi, tocca a Serafina: la donna si innamora di un avvocato, tale Duplessis e a causa di questa relazione viene rinchiusa a Santa Pelagia, la galera per le donnacce.
Poco male, i due sposi faranno pace e via verso nuovi intrighi. Il nostro non si ferma un attimo e ne inventa di cotte e di crude, persino il Viagra (senza scienza e medicina), con oltre tre secoli di anticipo sulla scoperta della pillola blu. L’anno è il 1772 e Balsamo, di passaggio a Marsiglia, indossando le vesti di un medico-taumaturgo riesce a convincere un innamorato che, mediante la celebrazione di alcuni riti speciali, avrebbe riconquistato la virilità. Un’ouverture rossiniana la sua, stiracchiata tra maledizione e genialità, tra perdigiorno e avventure che lo porterà pochi anni dopo – con il nome di conte d’Harat, marchese Pellegrini, principe di Santacroce eccetera eccetera – ad essere ammesso, a Londra, alla loggia massonica la Speranza. Saranno per lui e la sua compagna i giorni migliori, in giro per l’Europa, da L’Aja a Berlino, dalla Russia alla Polonia.
Il nuovo rito egizio di cui Cagliostro è il grande coopto, infatti, ha irretito le corti e la nobiltà di mezz’Europa. A Varsavia, nel 1780, sarà vera gloria e la coppia verrà accolta con ovazioni, preceduta com’è dalla fama di guaritore di Giuseppe Balsamo. Ma la maledizione, nella vita di questo grande avventuriero, è sempre in agguato. E arriverà, puntuale, nel 1785, a Parigi. A tirarlo giù dal piedistallo sarà l’imbroglio perfetto alla rovescia, quello della collana. «Passata la festa, gabbato lo santo», dicono i napoletani che di fregature hanno una certa esperienza.
Siamo nella capitale francese – quattro anni prima della Rivoluzione – e dall’incontro con Giacomo Casanova sembra essere passata un’eternità. Qui, in quei giorni, ha inizio un processo che resterà persino nei libri di storia della république più snob d’Europa. Il nome è ancora un copyright: l’affaire du collier. Protagonisti della vicenda e imputati Louis de Rohan, Jeanne Valois de la Motte e Alessandro – Balsamo amava cambiarsi di nome spesso – il conte di Cagliostro.
Il mistero della storia riguarda il presunto coinvolgimento della Corona in un inghippo. Un sospetto che salterà fuori, pochi anni dopo, con la ghigliottina in azione, i sanculotti in piazza e i nobili in esilio o nascosti per non morire. È la Rivoluzione francese, signori e Cagliostro c’era, o quasi. A ben guardare le ragioni che faranno perdere la testa, con la ghigliottina, a Maria Antonietta di Francia e a Luigi XVI, fustigati per aver dilapidato danari e ricchezze dello Stato alla faccia del popolo che moriva di fame, ci sarà pure la collana. Il collo segato e il collier, che assonanze macabre. (…)

(Il Predellino).

 

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