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Tema sulle Foibe: arduo anche per i prof

Con questo titolo voglio avviare un’analisi, magari anche parziale, del livello di preparazione scientifica e culturale dei nostri insigni docenti universitari che, di fronte ad una coraggiosa scelta del Ministero dell’Istruzione, hanno motivato la scarsa percentuale degli studenti maturandi che hanno optato per il tema dedicato alle foibe affermando, che tale argomento sarebbe stato difficile anche per gli esperti e si sarebbe prestato alla faziosità politica.
Questo è quanto è stato scritto dal Prof. Villari, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Roma Tre all’indomani della prima prova degli esami di maturità.
L’ammissione del docente non è finita però qui e, sollecitato dall’intervistatore del Messaggero, il Prof. Villari ha sostenuto che sarebbe stato più utile proporre come traccia d’esame un confronto tra la rivoluzione francese e quella inglese.
Viene da pensare, considerando anche qualche uscita poco elegante del Prof. Villari nei confronti dei lavori di Pansa, che a sentire parlare delle tragedie di una parte di italiani e della storia del confine orientale, ci sia una folta schiera di illustri docenti che mal sopportano l’idea che si possano studiare e approfondire altri temi della storia, che non siano esclusivamente, come al riguardo ha suggerito il Prof. Villari, le grandi rivoluzioni del ‘600 e del ‘700, ampiamente studiate sin dalle elementari.
L’atteggiamento che emerge dalle parole dal Prof. Villari è grave sotto un duplice aspetto: si boicotta quanto prodotto negli ultimi quindici anni da una storiografia che viene considerata “minore” da parte della presunta elite universitaria ed emerge uno scarso senso della ricerca scientifica e dell’aggiornamento professionale di coloro che avrebbero dovuto riscrivere intere parti dei nostri manuali di storia.
Se poi aggiungiamo che anche dalla colonne dell’ Unità, così come da esponenti del centro – sinistra si riconosce l’onestà e la non faziosità della traccia sulle foibe possiamo ben comprendere quale sia lo stato penoso in cui versa il nostro mondo accademico.
Un mondo accademico che rifiuta le sollecitazioni delle nuove tesi, rese anche possibili dall’apertura di archivi in passato non accessibili manifestando un aberrante conformismo che ha impedito da dieci anni a questa parte la riscrittura dei manuali di storia.
Per questo motivo ripropongo quanto già affermato da anni in merito al muro di gomma sollevato dal mondo accademico nei confronti di chi come Pansa e, in piccola parte da me, ha cercato di sensibilizzare la casta universitaria a nuove tesi e nuove tematiche.
Dopo la Giornata del Ricordo si riscrivano i libri di storia
Quando iniziai a raccogliere il materiale per la mia tesi di laurea relativa alla conflittualità tra italiani e sloveni al confine orientale, il dramma delle foibe e dell’esodo degli istriano dalmati era ancora un argomento relegato alla memoria di chi lo aveva vissuto o di quei partiti, che avevano cercato di mantenere vivo, il ricordo di quei drammatici eventi, presso quegli ambienti italiani maggiormente colpiti. Non si poteva ancora considerare il periodo storico e le complesse vicende del confine orientale come parte integrante di una storia d’Italia e a maggior ragione di tutti gli italiani. Ancora oggi manifestazioni di segno opposto intorno a tali tematiche fanno intendere che una memoria condivisa era impensabile.
Nonostante queste difficoltà si è però registrata una maggiore attenzione alla storia negata di una parte dei nostri connazionali e si è visto confluire un sostanziale interesse politico istituzionale, una notevole e valida produzione di ricerche, testi storici e giornalistici che hanno arricchito l’ esigua manualistica di storia del nostro Paese. Accanto a queste importanti iniziative, numerosi sono stati i ricorrenti articoli sulla stampa locale e nazionale che hanno dato ampio spazio a dibatti e alle testimonianze dei sopravvissuti e dei profughi.
Utile ai fini di una diffusione su larga scala dell’argomento sono state le varie trasmissioni di storia alla televisione, alle quali si è aggiunta una fiction Rai che ha cercato di ricostruire le drammatiche vicende degli italiani dell’Istria e della Dalmazia, nonostante le difficoltà che un tale format televisivo potesse incontrare.
Caratteristica prevalente di buona parte dei lavori prodotti negli ultimi anni è la parzialità spazio temporale offerta come chiave di lettura delle vicende. Si leggono infatti libri sulle foibe, sull’esodo, sulle foibe e l’esodo che sicuramente forniscono letture validissime e supporti documentari di notevole importanza ma omettono di inquadrarli in un contesto temporale molto più complesso.
Accanto a questo filone legato alle foibe e all’esodo vi è poi quello che ha analizzato i crimini e le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Slovenia e Croazia. Anche in questo caso ci si trova in presenza di ottimi lavori che vanno a scandagliare un lato poco noto delle guerre di Mussolini.
Non stupisce però constatare che questi due filoni così diversi per tematiche ma così legati indissolubilmente per contesti geografici e storici seguano nelle migliori delle ipotesi percorsi distinti se non conflittuali.
Da ciò derivano situazioni che si traducono in commemorazioni di parte in cui la memoria degli esuli è contrapposta ai crimini dell’occupazione nazifascista della Jugoslavia. Infatti nella giornata del ricordo che si celebra il 10 febbraio, si registrano manifestazioni e convegni che puntualmente vanno a coltivare una memoria parziale.
Fondamentale è inoltre ricordare il lavoro di Giampaolo Pansa, che sempre negli ultimi anni ha ricostruito, sollevando non poche polemiche, il clima di guerra civile che si respirava nel dopoguerra in Italia. È importante qui menzionare quanto accaduto con i lavori di Pansa poiché le reazioni e i silenzi sono molto analoghi a quelli che si riscontrano per il confine orientale. Anche in questo caso l’attività di ricerca su quanto accaduto dalla fine del 1945 ai primi anni 50’ parte non dagli storici di professione ma da un giornalista. Infatti sia con le foibe e l’esodo che con la guerra civile in Italia viene intaccato il monopolio della divulgazione storica esercitato dagli ambienti accademici.
Questi ultimi non sempre hanno reagito in maniera costruttiva alle sollecitazioni spontanee extra universitarie, e in certi casi si sono scagliati apertamente contro i revisionisti, rei di aver fatto un lavoro considerato tabù.
Calandomi nella mia personale esperienza relativa alla tesi di laurea questa ha avuto risvolti inaspettati.
Decisi infatti di affrontare il problema analizzando la conflittualità al confine orientale dalla Grande Guerra all’esodo. La scelta, non compresa del tutto in ambito universitario, seguiva una logica ben precisa: capire in un contesto temporale di medio periodo quello che era accaduto in quelle aree.
Lo scopo non era quello di contrapporre due memorie inevitabilmente opposte e difficilmente conciliabili, ma di svolgere un’analisi completa degli attori in campo che erano molti più numerosi di quanto si potesse immaginare.
Per compiere al meglio questo lavoro andai in Slovenia a Lubiana e a Nova Goriza, dove subito compresi che la loro storiografia aveva fatto dei passi da gigante, se confrontata con la nostra. Là infatti già dalla metà degli anni ’90 si parlava di foibe di esodo, di sloveni anticomunisti infoibati e ovviamente dell’occupazione militare italiana della provincia di Lubiana. Addirittura si faceva presente quanto fosse grave il mancato contributo croato nel tentativo di scrivere una storia condivisa tra italiani e sloveni su quelle vicende. Voglio ricordare che in quegli anni in Italia, eravamo nel 2004, uscì un manuale di storia con mappe e cartografie delle principali battaglie delle Seconda Guerra Mondiale distribuito dal quotidiano la Repubblica, in cui si affermava che le foibe erano “eccidi di nazifascisti da parte dei partigiani jugoslavi”.
Partendo quindi da queste amare considerazioni tentai di condensare in un capitolo introduttivo i principali avvenimenti del Confine Orientale: il Patto di Londra (1915) e l’accordo italo-jugoslavo di Roma (1924), il fascismo di frontiera e la politica di italianizzazione, l’invasione della Jugoslavia, l’8 settembre e l’Adriatisches Küstenland, le foibe, l’esodo e il “controesodo dei 2000 di Monfalcone”.
Questo era in sostanza l’arco temporale che ritenevo e ritengo ancora fondamentale per avere una visione di insieme di tutto il fenomeno al quale aggiungevo, nel secondo e terzo capitolo, uno studio meticoloso di soli documenti di archivio, in parte inediti, relativi rispettivamente alla gestione dei territori e alle politiche repressive dell’Italia fascista nella Slovenia e l’internamento dei civili sloveni e croati nei campi di concentramento.
Chiarito pertanto l’approccio temporale di medio periodo ad un’area geografica assai complessa emergevano una serie di eventi imprescindibili ai fini di una comprensione equilibrata dell’argomento.
Non si poteva ignorare quanto accaduto al termine della Grande Guerra in termini di definizione dei confini e assetti geopolitici così come non si poteva decontestualizzare l’occupazione italiana e l’attività antipartigiana in Slovenia senza la conoscenza delle metodologie di contro insurrezione e il diritto delle operazioni militari vigente in quegli anni. Ancora di più non si poteva ignorare come con l’8 settembre e il relativo armistizio l’Italia perdesse ben prima del trattato di pace qualsiasi tutela dei propri confini.
La stessa annessione del Friuli e del Trentino da parte della Germania dopo l’8 settembre è un passaggio chiaro, ancora oggi sottovaluto dalla nostra manualistica di storia, per capire come il Reich stesse volutamente contrapponendo gli italiani e gli sloveni in un disegno che rievocava gli echi e il ruolo egemonico dell’Impero Austro Ungarico.
Va infatti ricordato che nel Litorale Adriatico, la presenza politica militare e culturale italiana fu ampiamente limitata dalle autorità tedesche proprio in previsione di una completa annessione di quel territorio al Reich.
L’unica presenza militare italiana, che godette di una certa autonomia fu la Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese che riuscì a rappresentare per le genti italiane l’ultimo segno di appartenenza alla madrepatria e l’unica forza armata italiana che cercò di difendere i confini orientali d’Italia.
Anche su questo fatto, molte sono state le versioni date da storici e giornalisti, ma analizzando le fonti e le fotografie degli archivi sloveni risulta consistente la presenza dei reparti della Decima nei pressi di Gorizia. Inoltre in merito all’episodio di Tarnova della Selva, in cui i reparti della Decima si scontrarono contro il IX Korpus jugoslavo, si deve chiarire che l’operato dei militari italiani non può essere condannato come un’ operazione antipartigiana proprio perché nel dicembre 1944 gennaio 1945 i partigiani jugoslavi avevano una struttura militare e un’organizzazione tale da essere considerati truppe regolari in tutto e per tutto.
È difficile infatti potere classificare delle formazioni armate con il supporto britannico operanti con proprie uniformi come reparti partigiani. Pertanto coloro che accusano i reparti della Decima di aver condotto operazioni antipartigiane commettono un grave errore perché le dinamiche di quello scontro furono tipiche di due formazioni regolari e per questo motivo si può legittimamente sostenere che in quel frangente vi furono reparti italiani che rallentarono l’avanzata dell’esercito di Tito.
Anche nel fronte partigiano italiano vi erano reparti come la Osoppo che si rifiutarono di agevolare la penetrazione jugoslava in territorio italiano, e che per questo furono oggetto di scontro e uccisioni da parte dei partigiani comunisti della Garibaldi nell’eccidio di Malga Porzus.
Furono sempre e prevalentemente i partigiani comunisti italiani della Garibaldi a fornire supporto alle truppe di Tito negli arresti di Trieste nel maggio del 1945.
Addirittura nel caso di Trieste i partigiani comunisti filo jugoslavi disarmarono con l’inganno i reparti di finanzieri, che avevano allontanato i tedeschi dalla città evitando inutili scontri con la popolazione civile, e li consegnarono alle autorità jugoslave per farli giustiziare.
La presenza dei finanzieri armati italiani avrebbe potuto creare dei seri problemi ai partigiani jugoslavi.
È singolare come ancora oggi si cerchi di nascondere, soprattutto nei manuali di storia, la numerosa e ingente propaganda operata da Togliatti per facilitare l’annessione di Trieste alla Jugoslavia e come fu funzionale al disegno del partito comunista definire fascista chi era costretto ad abbandonare la propria casa.
Addirittura si incentivò un’aliquota di operai italiani, i “2000 di Monfalcone” a trasferirsi in Jugoslavia per aiutare sia la nascente industria jugoslava che per sostenere il socialismo di Tito.
Anche le motivazioni per le quali furono infoibati, fucilati, detenuti e allontanati gli italiani vanno analizzate con maggiore attenzione di quanto non si sia fatto sin ora.
La tesi esclusiva della pulizia etnica è vera solo in parte ;infatti le persecuzioni di cui furono oggetto gli italiani furono rivolte anche contro tutti gli sloveni o croati dissidenti e anti comunisti.
Pertanto il movente etnico va sicuramente a saldarsi con motivazioni prettamente politiche per le quali sono considerati nemici tutti coloro che si oppongono ad un sistema politico economico di stampo socialista. Su questo punto c’è una concordanza di vedute anche con gli storici sloveni i quali hanno correttamente posto in risalto come al termine delle seconda guerra mondiale fossero stati ben 10.000 i civili sloveni uccisi per le proprie idee politiche.
Una volta descritto l’impianto complessivo della mia tesi e il metodo utilizzato per evitare qualsiasi strumentalizzazione ho avuto modo di verificare in prima persona quanto potesse esser difficile tramutare un’ottima tesi di laurea, peraltro premiata dal Fondo Carlo Leuzzi presso il Senato nel 2006, in una breve pubblicazione che mantenesse inalterato il filo logico e scientifico del lavoro.
Purtroppo quando fu il momento di stabilire con la rivista del dipartimento di Storia moderna e contemporanea della Facoltà di Lettere della Sapienza lo spazio e i capitoli da riassumere per la pubblicazione, fu scartato il capitolo introduttivo a favore di quello relativo all’occupazione della Slovenia.
Inevitabilmente l’estratto della mia tesi, cosi avulso dal lavoro nel suo complesso, è apparso come una risposta accademica alle pubblicazioni che in quel momento si stavano occupando delle foibe e dell’esodo.
Indubbiamente questa scelta editoriale mi lasciò profondamente deluso proprio perché ebbi la sensazione che, non solo non fosse stata compresa la novità metodologica apportata alla ricerca ma si fosse voluto anche operare una cesura strumentale.
A ciò si è aggiunta un’ amara scoperta fatta circa un anno fa, quando entrando in una libreria e sfogliando un manuale di storia molto autorevole presso la mia Università, constatai che non solo la trattazione delle foibe e dell’esodo era sostanzialmente incompleta, ma che anche la vicenda dell’occupazione italiana delle Jugoslavia era relegata ad un paio di righe, peraltro assai vaghe.
Considerando quanta pubblicista e quante ottime ricerche sono state pubblicate negli ultimi tre anni rimasi a dir poco sconcertato perché non solo non si aggiornavano i manuali con l’enorme documentazione ormai disponibile ma si continuavano ad omettere interi periodi chiave della vicenda.
Ricordo inoltre che anche altri studenti universitari mie coetanei si dedicarono a studiare alcune vicende del confine orientale in parte legate all’esodo e al trattato di pace e notai che anche dei loro lavori non vi era traccia.
Si può pertanto constatare che la ricerca storica in Italia ha affrontato negli ultimi quindici anni notevoli sfide andando a far riemergere dal passato questioni tabù. Ciò ha sicuramente prodotto ottimi risultati che però non sono ancora arrivati ad inserirsi nel tessuto della storiografia scolastica a tutti gli effetti.
Avviene così che le ricerche che si sono potute avvalere di materiale inedito di archivio non trovino il giusto spazio all’interno di manuali che ancora non hanno riesaminato molte questioni da più parti sollecitate.
Inoltre altre tematiche meriterebbero maggiore attenzione: la prigionia dei militari italiani in Germania dopo l’8 settembre, l’effettivo contributo della resistenza allo sforzo bellico degli Alleati, le reali strategie di condotta del Partito Comunista durante la Resistenza.
Molto si è fatto e molto ha contribuito anche la televisione che sicuramente può essere più incisiva sul grande pubblico ma certamente è necessario che le giovani generazioni possano comprendere sin dalla giovane età quali e quante sfaccettature ci possano essere nell’interpretare la storia.
Si potrà obiettare che non tutto può essere scritto su un manuale e che pertanto si è costretti ad operare delle cesure ma molte volte anche dei singoli spunti,così come li ho offerti in questo breve articolo, possono fare molto soprattutto se si parla della nostra storia, della storia del nostro Paese.

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