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C’è una “cura BXVI” per tornare al sano realismo

Ci sono tre temi su cui Benedetto XVI sta insistendo negli ultimi tempi: l’Eucaristia, la santità dei sacerdoti e l’apertura della ragione al trascendente. Per Ratzinger sono come tre pilastri su cui si gioca la missione della Chiesa.
Il primo riguarda il compito di rendere presente Cristo in mezzo al mondo, in modo reale e concreto nel pane e nel vino, nella Messa e attraverso i sacramenti, come la Chiesa fa dalle sue origini.
Il secondo riguarda i sacerdoti e il loro essere preparati a questo compito, come ministri e testimoni vivi di quella presenza: non è un caso che alla viglia della chiusura dell’anno sacerdotale, rispondendo alla domanda di un sacerdote, il Papa abbia definto il celibato «un grande scandalo» per la mentalità agnostica perché «mostra che Dio è vissuto come realtà».
Il terzo punto, anch’esso collegato ai precedenti, riguarda la missione di allargare la prospettiva, di aiutare l’uomo ad andare oltre la razionalità positivistica chiusa al trascendente che è solo una brutta copia della ragione. Per questo ha dedicato tre udienze a San Tommaso d’Aquino e all’armonia tra fede e ragione che, seppur indipendenti, sono legate perché riguardano la stessa realtà.
E’ questa la visione della religione che Benedetto XVI sta proponendo: non un’elevazione sentimentale né un sistema di credenze alla ricerca di una divinità irragiungibile, quanto un ritorno alla realtà delle cose. Dio è presente qui e ora, sotto gli occhi di tutti. Si tratta solo di iniziare a spalancarli.
 
 

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