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Scudo fiscale e sinistra dei bari

Altro che “governo al servizio degli evasori fiscali, dei corruttori e della criminalità organizzata”, come urlano i dipietristi. Altro che “cittadini onesti truffati dallo Stato” come spiegano i furbi amici di Casini. Altro che “aiuto agli evasori e ai grandi criminali” come dichiara il Pd Pierluigi Bersani o “truffa per chi paga le tasse” come ha detto StupiDario (Dario che ci stupisce, si intende) Franceschini.
Tutti costoro farebbero meglio a dirsi queste cose allo specchio, aggiungendo la loro vera qualifica: “imbroglioni!”
Perché il dubbio che ieri ha affacciato su Il Giornale Nicola Porro – che l’opposizione abbia voluto lasciar passare lo scudo fiscale  – è quasi una certezza.In questa settimana l’aula di Montecitorio è stata aperta giorno e notte per consentire  ai sinistri falsari di dipingere governo e maggioranza come una cosca peggiore di quella di Totò Riina e Bernardo Provenzano Ma si è trattato di uno scudo di parole per nascondere la verità. Visto che l’opposizione ha avuto un’occasione irripetibile per distruggere  lo scudo fiscale per sempre, ma non lo ha fatto.
Non mi riferisco a martedì, quando – come è stato scritto – le assenze di 51 deputati del Pd, (tra cui D’Alema, Bersani e Franceschini) hanno dato alla maggioranza la vittoria nel voto delle pregiudiziali di costituzionalità. No. In realtà il gol mancato clamorosamente a porta vuota si è verificato giovedì mattina. In quel momento in aula c’erano praticamente solo deputati di opposizione, i quali illustravano gli ordini del giorno, cioè quei documenti pressoché inutili che da anni servono solo ad allungare strumentalmente i tempi dell’approvazione delle leggi. E poiché, in considerazione del gran numero di interventi ancora da svolgere, non erano previste votazioni prima delle tre del pomeriggio, i deputati della maggioranza non erano nell’aula, ma nei loro uffici a svolgere attività più utili che ascoltare fiumi di improperi.
Ed è proprio di questa situazione che l’opposizione poteva profittare facilmente e non l’ha fatto. Essi, infatti, dipietristi compresi, potevano ritirare tutti gli inutili ordini del giorno non ancora illustrati e chiedere che si passasse a discutere un altro dei provvedimenti previsti nella convocazione – ad esempio l’istituzione del garante dell’infanzia – e in questo modo mandare lo scudo in frantumi.
Su queste richieste di inversione dell’ordine del giorno, infatti, si vota per alzata di mano, senza necessità di numero legale, a maggioranza dei presenti, dopo che abbiano parlato uno a favore e uno contro e per non più di cinque minuti. Se i sinistri che gridano allo scandalo avessero anche rinunciato ai loro cinque minuti, la maggioranza avrebbe avuto appena 300 secondi per far arrivare i suoi: missione impossibile.
Con questo blitz, nemmeno così difficile da organizzare, lo scudo fiscale sarebbe stato rottamato per sempre. E all’odiato governo e alla sua maggioranza di malfattori i paladini della legalità e dell’onestà avrebbero inferto un colpo durissimo.
Invece non è successo niente di tutto questo. I nostri oppositori sono forse distratti? Difficile pensarlo. Più facile che a sinistra in tanti abbiano già pronte le carte per il loro scudo.
Non avremo mai la prova, perché lo scudo – civilmente – è riservato e non serve a tagliare teste, ma a mettere la parola fine all’epoca della finanza senza regole e dei paradisi fiscali. Forse però, un giorno, qualche storico potrà sapere se avranno opposto lo scudo ad un accertamento fiscale anche gli ex capi dell’Unipol Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, il tesoriere del Pds Ugo Sposetti, l’ex-presidente del consiglio Massimo D’Alema che guidò Palazzo Chigi quando diventò – secondo la definizione del tributarista “rosso” Guido Rossi – “l’unica merchant-bank in cui non si parla inglese”; o anche i signori Antonio Di Pietro e Silvana Mura, deputati,  e Mario Di Domenico, commercialista, unici tre membri dell’associazione omonima al partito “Italia dei Valori” alla quale, non si sa bene come, è stato elargito il rimborso elettorale che spettava al partito. Insomma, tutti loro, potranno fare come il direttore de la Repubblica Ezio Mauro, che nell’acquistare una bella casa nell’elegante quartiere Parioli a Roma si è avvalso – lecitamente – di una norma simile, uno specie di scudo immobiliare, che gli ha permesso di evitare l’accertamento fiscale. Ma, qualche tempo dopo, ha detto chiaro e tondo che la sua dichiarazione al fisco era falsa, una bufala quasi come quelle che pubblica tutti i giorni (da IlGiornale).

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