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Quando la manager è musulmana, le aziende fanno affari divini

Le aziende arabe che vantano la presenza di consiglieri donne nei consigli di amministrazione, realizzano utili superiori a quelli dei competitori che «ripudiano» le quote rosa nel cda. A rilevarlo è un indagine dell’anno scorso condotta da Hawkamah, Istituto for Corporate Governance. In base ai riscontri ottenuti, le vendite realizzate dalle aziende con più di tre donne consigliere sono superiori del 42% rispetto ai risultati conseguiti delle aziende amministrate da solo da gentlemen. Quando le aziende sono quotate in borsa, il cda in rosa consolida mediamente un ritorno sul valore delle azioni del 53%. Nonostante le potenzialità e il valore aggiunto della donne nei cda delle aziende arabe, il numero delle donne top manager e di quelle presenti nei consigli d’amministrazione rimangono ancora bassi. Nei paesi del Golfo, su 4.254 consiglieri sono solo 63 i posti riservati alle donne. Con lo 0,1% , l’Arabia Saudita è il Paese arabo con il tasso di rappresentazione rosa nel cda più basso in medio oriente. Con rispettivamente il 2,7% e il 2,3 % il Kuwait e l’Oman sono i paesi dove le donne consigliere sono più rappresentate. In Kuwait invece, ci sono 30 donne su 1,101, mentre in Oman 21 su 905. Seguono Dubai con l’1,2%, il Bahrain con l’1% e il Qatar con l’0.3%. Negli Stati Uniti la rappresentanza rosa nei board è del 13,6%, in Norvegia è del 22%. L’Italia, con un 2%, è abbastanza vicina alla media araba. Più alto invece è il numero delle donne arabe titolari di un business. Secondo le stime pubblicate dal giornale Arabian Business, si stima che il 14 % delle imprese in medio oriente siano registrate sotto un nome femminile. A dispetto dell’esigua presenza di manager e di consiglieri rosa, il “sistema mondo arabo” con le sue tradizioni, con le sue dinamiche sociali e di interazione tra i sessi non è così avverso all’ascesa della futura business class femminile araba. Nel mondo professionale e imprenditoriale femminile arabo si stanno sviluppando nuove dinamiche e trend molto interessanti. Innanzitutto ci sono due tipi di business woman. La prima è rappresentata dalle titolari di capitale accumulato senza lavorare ( le tipiche casalinghe saudite pagate per stare a casa o per viaggiare) o per ricchezza ereditata. E’ un tipo di investitrice sofisticata che capitalizza la sua ricchezza soprattutto con la compravendita di azioni o di immobili. Non a caso, l’anno scorso, 18 milioni di azioni del Nasdaq Dubai sono state comprate e vendute da investitrici donne. L’altro tipo di manager araba è colei che lancia un nuovo business oppure si siede nel consiglio di amministrazione di un grosso gruppo in seguito all’ acquisizione di una rilevante quota del pacchetto azionario. In altre parole, quando la business woman araba si trova dei filtri o delle barriere che la tengono fuori dal management, invece di entrare nel cda attraverso il merito, si conquista un posto da consigliera tramite l’acquisto delle azioni. Le donne arabe dispongono di grandi asset, soprattutto capitali liquidi. Negli Emirati, le donne controllano ricchezze che valgono 245 miliardi di dollari e che diventeranno 385 nel 2011. Le più ricche sono le saudite con 11 miliardi di dollari. Il 30% dei conti correnti del regno saudita sono intestati alle signore. Contrariamente ai pregiudizi sulle condizioni economiche delle donne musulmane, lo statuto islamico sull’eredità avvantaggia più il portafoglio delle mogli e delle figlie rispetto a quello degli uomini. Il guadagno facile conseguito dai patrimoni ereditati dai parenti, quelli ottenuti grazie alle doti matrimoniali o alla buona uscita dei divorzi non deve far svalutare la capacità imprenditoriali delle donne arabe. L’anno scorso, uno studio di Barclays (Barclays Wealth Survay) ha rilevato come le donne arabe siano le più pratiche al mondo nella gestione di fondi di investimento e le più confidenti negli investimenti immobiliari e nella pianificazione pensionistica. All’università Americana di Beirut, negli anni ottanta, solo il 15% degli studenti in materie finanziarie erano donne. Oggi sono la metà. Secondo la ricerca intitolata “Women Business Owners in the UAE ( Le imprenditrici proprietarie negli Emirati) promossa dall’International Finance Corporation, la maggior parte delle imprenditrici negli Emirati Arabi hanno lanciato i loro business (come saloni di bellezze, agenzie per l’organizzazione di feste matrimoniali, e studi di interior design), senza richiedere prestiti bancari ma investendo i loro risparmi. Alla fine, nei paesi più conservatori, gli investitori più audaci sono le donne.

 

 

Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore

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