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Predellino e Farefuturo, Stracquadanio replica a Campi: “Chi regala i voti alla Lega?”

Ieri il professor Alessandro Campi ha scritto su FareFuturo Web Magazine un articolo, che ripubblichiamo sotto, che dimostra quanto sia pertinace la volontà di combattere le scelte politiche del Pdl e del suo leader da parte del maitre a penser dei sedicenti finiani, espressione coniata innanzitutto dal professor Campi, che evidentemente ama dividere e non unire.
Ciò nonostante, noi non ci uniamo alla formidabile richiesta di espulsione dei “falchi” formulata oggi dal vicecapogruppo vicario del gruppo Pdl alla Camera (e dunque anche mio) Italo Bocchino. Che in nome della rivendicata democrazia interna chiede provvedimenti disciplinari d’imperio.
Torniamo ad Alessandro Campi. Il quale dovrebbe innanzitutto rivolgere a se stesso l’invocazione a “smetterla con i piagnistei e i complessi di inferiorità” in base ai quali lui e il suo cotè intellettualistico vivono. Campi e i suoi si alimentano di luogocomunismo politically correct di seconda mano e pretendono poi che questo armamentario di banalità, spacciato per elaborazione culturale, diventi “l’identità chiara a da tutti riconoscibile’” del Pdl.
Si è chiesto Campi se, per caso, i traghettatori del voto dal Pdl alla Lega Nord non siano proprio quelli che propongono la neutralità culturale rispetto al fondamentalismo islamico, la cittadinanza espresso e il voto agli immigrati, mentre si dimostrano poco interessati a difendere il voto degli italiani e derubricano a “problema giudiziario di Berlusconi” il tentativo di sovvertire il sistema democratico da parte della magistratura associata?
Non passa per la brillante testa di scienziato della politica di Campi il dubbio che, se voti per il Pdl e Flavia Perina e poi ti ritrovi le leggi di Veltroni, o se voti per Fabio Granata e poi ti ritrovi le leggi proposte da Sarubbi, forse ti convinci che è meglio votare per Bossi piuttosto che  per questo caravensarraglio in cui si pretende di trasformare il Pdl?
Non viene il dubbio all’insigne politologo che se si giudicano migliori le proposte di Veltroni e quelle di Sarubbi, allora si sceglie di votare per il Partito democratico?
E’ in grado l’illustre cattedratico di intuire il fatto che il Pdl non è il Pd a cui aggiungere una “l”, ma forse qualcosa di radicalmente alternativo, figlio di una cultura politica che ha radici altrove?
Naturalmente, ne siamo certi, la boria intellettualistica che ha tarantolato la destra più amata dalla sinistra impedirà loro di comprendere la realtà della Nazione che governiamo e che loro vorrebbero guidata da un bel governo formato da Fini e Veltroni, Perina e Bettini, Granata e Sarubbi, e così duettando tra eredi  “riscattati” delle ideologie totalitarie del XX secolo.
Giorgio Stracquadanio da Il Predellino del 4 dicembre 2009
 

 

Il Pdl ha un grande futuro, ma… Se lo strabismo politico fa sbagliare il “nemico”

 
La notizia – davvero una grande notizia (che si può leggere sul Corriere della Sera di ieri e che sembra aver incuriosito solo Casini) – è la seguente: Bossi è favorevole a concedere agli immigrati il diritto di voto. Ma a una condizione, davvero politicamente piccola e insignificante: che nasca il Nord come Stato nazionale indipendente. Quando esisterà la Padania, pare di capire, gli immigrati potranno vedere riconosciuti i loro diritti. Nell’Italia odierna, no. Ma Bossi, come riporta sempre il Corriere, non si è limitato a parlare di immigrazione nel suo incontro dell’altro giorno con il presidente del Parlamento catalano, ha detto anche altro: che il destino politico di Berlusconi è interamente nelle sue mani («lo controlliamo», ha sostenuto testualmente). Se e quando la Lega deciderà di mollarlo per il Cavaliere sarà la fine.
Ecco, se Berlusconi fosse un leader davvero tale e minimamente sicuro di sé, non impaurito e tormentato dai fantasmi, se il Pdl fosse un partito normale, con un briciolo di identità e di amor proprio, se i dirigenti di quest’ultimo avessero almeno un po’ di senso storico e politico, dinnanzi a dichiarazioni del genere – e senza considerare il pregresso –, si farebbe una cosa molto semplice. Si convocherebbe l’alleato minore per porgli due semplici domande. La prima: davvero l’obiettivo ultimo dei leghisti è rendere il Nord politicamente autonomo e indipendente dal resto d’Italia, il che significherebbe sancire la fine di quest’ultima? La seconda: davvero Bossi, con il suo 10%, ritiene di avere nelle sue mani il destino politico di Berlusconi?
Sarebbe quello che si definisce un “chiarimento necessario”, dal momento che fino a prova contraria il Pdl sostiene l’unità nazionale, dunque avversa qualunque ipotesi secessionistica (anche se perseguita in modo morbido), e Berlusconi è il leader della coalizione di centrodestra, al quale nessuno può porre condizioni, che nessuno può pensare di mettere sotto tutela e sotto controllo. Ma un simile chiarimento, come è ovvio, non ci sarà: né oggi né mai. Nessuno, anche in questa occasione, avrà qualcosa da rimproverare a Bossi. Si dirà, ancora una volta, che quest’ultimo è solo un mattacchione, che i leghisti sono delle simpatiche canaglie ma politicamente affidabilissimi, che le loro parole sono soltanto battute e spiritosaggini a uso del popolo, insomma si diranno tutte le amabili menzogne che si sono dette in questi mesi ogni volta che la Lega ha messo nero su bianco le sue reali intenzioni e i suoi reali convincimenti. Ai quali però, nel Pdl, si è deciso di non dare nessuna importanza, giudicandoli politicamente irrilevanti. In questo momento, a quanto pare, ci sono altre priorità: ad esempio prendersela con Fini, metterlo con le spalle al muro a causa delle sue posizioni eterodosse e dei suoi comportamenti ritenuti ambigui.
Bene, in questa scelta colpevolmente strabica, che si risolve nel combattere all’ultimo sangue il supposto dissidente interno e nel lisciare il pelo all’alleato esterno qualunque cosa dica e faccia, è inscritto il destino del Pdl e forse, in prospettiva, della stessa politica italiana.  Il destino di un partito che semplicemente non sa cosa vuole, che oltre a stringersi a coorte intorno a Berlusconi non sa cosa fare e cosa dire, che ha le idee chiarissime in materia di giustizia, ma per tutto il resto vive alla giornata, secondo le improvvisazioni – alcune felici, altre meno – dei suoi rappresentanti al governo. Un partito che – appelli al popolo a parte – non ha più nemmeno alcuna cognizione esatta della sua reale forza elettorale e quindi delle responsabilità che incombono su di esso. La principale delle quali è che dovrebbe essere il Pdl a dettare la linea di marcia alla coalizione di cui detiene la maggioranza, invece di prendere ordini ogni volta dalla Lega. Una subalternità, quella nei confronti di quest’ultima, che ormai non è soltanto politica, ma psicologica e culturale e che così continuando finirà per produrre due soli risultati: da un lato un travaso costante e inesorabile di consensi dal Pdl verso la Lega, al momento frenato solo dal perdurare del carisma berlusconiano; dall’altro, ed è anche peggio, trattandosi di uno sbocco già facilmente percepibile, la “leghizzazione” – sul piano degli umori e del linguaggio – dell’elettorato berlusconiano.
Ma nella scelta del Pdl di chiudere gli occhi dinnanzi alla realtà, di occuparsi dell’accessorio lasciando da parte l’essenziale, nella sua pervicacia a colpire i bersagli sbagliati e a non impegnarsi nelle giuste battaglie, sta anche, come si diceva, il possibile destino della politica italiana.
Che sta vivendo una fase davvero parossistica, con elementi surreali e grotteschi che sembrano però annunciare, se non contrastati per tempo, un esito tragico e per molti versi fatale. Un partito di centrodestra, imparentato peraltro con il popolarismo europeo, che considera Fini un traditore o un avversario interno solo perché quest’ultimo parla di legalità, di cittadinanza, di riforme condivise, di eguaglianza dei diritti, di rispetto delle regole e delle istituzioni; che stando al potere si considera invece accerchiato e sotto scacco e vede perciò complotti e nemici ovunque; che concepisce ormai la politica come una guerra di tutti contro tutti, perdendo così di vista i suoi reali compiti e doveri (in primis verso il proprio elettorato); che affida la sua pubblica rappresentazione e la sua immagine politica ad avventurieri del giornalismo e a professionisti del caos; un partito così, pur avendo tutti i titoli per essere una grande forza stabilizzatrice dell’odierno assetto istituzionale, per essere un vasto e vitale contenitore di interessi sociali e di culture politiche che vanno nel segno del riformismo e dell’innovazione, rischia di mancare gli obiettivi per cui è nato e di mortificare le speranze di coloro – milioni e milioni di italiani – che hanno creduto in un simile progetto e che oggi si vedono ripagati con uno spettacolo di lotte intestine spesso insensate e montate ad arte e con lo stato di confusione e smarrimento che domina ormai incontrastato nelle sue fila. Rischia insomma di sparire malamente dalla scena, facendo così un regalo agli estremisti e ai restauratori in agguato, finendo altresì per spezzare il sogno, da molti coltivato in questi anni, di una politica diversa rispetto al passato, meno rissosa e meno conflittuale, più civile e più attenta ai problemi delle persone, e di un’Italia migliore, finalmente in grado di darsi istituzioni stabili e regole di funzionamento all’altezza di un grande paese.
A leggere le cronache odierne, non c’è più nessuno disposto a scommettere una lira sul futuro del Pdl nella sua forma attuale. Tutti vivono nell’attesa di una decisiva e drammatica resa dei conti al suo interno o della sua imminente liquefazione o implosione. Forse hanno ragione quelli che vedono nero. Ma non è da escludere che, a dispetto delle apparenze, le cose possano prendere una piega diversa. Che nel momento peggiore si trovi il modo di uscire dall’impasse. Perché ciò accada è però necessario uno spietato e salutare esame di coscienza da parte di tutti coloro che nel Pdl rivestono, a qualunque titolo, un ruolo di responsabilità. Bisognerebbe chiedersi dove si è sbagliato sinora, sul piano organizzativo e gestionale, invece di fare spallucce a ogni critica o obiezione. Bisognerebbe ritrovare lo slancio e la capacità di iniziativa politica che in passato sono stati il segreto delle vittorie elettorali di Berlusconi. Bisognerebbe comprendere cosa significhi per davvero la novità di un grande partito popolare che ha oggi al suo interno una tale ricchezza di culture, storie biografie, visioni, sensibilità, tutte da rispettare e valorizzare. Bisognerebbe smetterla con i piagnistei e i complessi di inferiorità, con le paure e le titubanze, che hanno sin qui impedito al Pdl di porsi sulla scena pubblica con un suo autonomo profilo e con un’identità chiara a da tutti riconoscibile. Bisognerebbe smetterla di essere ora inutilmente aggressivi ora inutilmente accondiscendenti, sempre nei confronti dei soggetti sbagliati. Bisognerebbe smetterla con i personalismi e con la piaggeria da cortigiani che ne hanno sin qui immiserito e complicato la sua vita interna. Bisognerebbe evitare di dare sempre la colpa agli altri (“poteri forti”, “nemici interni”) se le cose non vanno talvolta nel modo desiderato. Bisognerebbe avere la forza di riprendere nelle proprie mani la guida della coalizione, ponendo paletti e limiti chiari a un alleato che sarà anche leale ma che spesso dà l’impressione di perseguire obiettivi oggettivamente incompatibili con i valori che sulla carta sono quelli fondanti del Pdl. Bisognerebbe, molto semplicemente, tornare a fare politica, tutti insieme, qui e ora, avendo come unica bussola gli interessi e le attese degli italiani.
Alessandro Campi da Fare Futuro Web Magazine del 3 dicembre 2009
 

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