Porto il velo, adoro i Queen. Il primo libro di Sumaya Abdel Qader. Un po’ blog, un po’ letteratura, un po’ di nostalgia per il Paese di origine, e nuova linfa e devozione per il futuro dell’Italia. Soprattutto un ritratto ironico della vita, delle originali vicissitudini e delle divertenti contraddizioni di Sulinda, una donna musulmana che ama profondamente Dio ma, contrariamente ai luoghi comuni sui musulmani, adora i Queen, si ispira ai testi di Gianna Nannini quando flirta con suo marito e comunica con un linguaggio da sit-com americana o sex and the city.
E’ il ritratto di una nuova Italia, un Paese che ospita 570mila nuove cittadinanze le 2G, le seconde generazioni, i figli degli immigrati nati in Italia. È la descrizione del loro processo di identità, di come mitigano le aspirazioni con le aspettative delle loro famiglie e di come si può mantenere le radici in un Paese e far crescere i rami all’estero. Ma oltre ad essere una 2G, Sulinda è una musulmana praticante che ogni mattina invece di mettersi il fard dedica un quarto d’ora accademico alla scelta dal velo da abbinare alla borsa e al soprabito. E al contrario di Giorgio Gaber che in una sua canzone confessa “Io non mi sento italiano”, Sulinda, nonostante il nome esotico, il velo che le nasconde i capelli, due genitori arabi, il continuo porsi delle domande sulla propria identità, il ricorrente ascolto di risposte generiche e spesso superficiali che vengono dai media e il predicozzo degli arabi che la giudicano troppo occidentale ci tiene a confermare la sua italianità: «Le parole di Giorgio Gaber mi suonano così strane. Mi guardo allo specchio, dalla testa ai piedi, dai piedi alla testa. Tutto rigorosamente made in Italy».
A differenza di molti testimonial del mondo arabo e della galassia musulmana che riempiono le librerie e parlano ai convegni, Sulinda non si piange addosso per le situazioni sfigate della vita e non attribuisce le sue sconfitte alle cospirazioni degli altri. Anzi, Sulinda reagisce sempre in modo positivo insegnando alle sue due figlie a capire le ragioni degli altri anche in situazioni paradossali come questa: «Mi trovo sul bus 56 che percorre via Padova, di solito lo prendo per portare le bambine all’asilo o per andare ai giardinetti. Sono appena finiti i mondiali di calcio 2006. Curiosamente l’unica cosa che è rimasta nella memoria delle mie innocenti creature è l’inno d’Italia. Allora, siamo sul bus, quando i due angioletti, di punto in bianco, iniziano a cantare a squarciagola: “siam pronti alla morte, siam pronti alla morte”. E insistono su questa frase. La signora, già disturbata dalla sola presenza dei pargoli e dalle loro voci, sdegnata commenta: “Ecco cosa insegnano, la violenza e la cultura della morte”. Non mi resta che sollevare il sopracciglio. Le due piccole invece, la fissano con loro sguardo furbetto di chi la sa lunga, e ignorando il borbottio della signora riprendono a cantare: “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, yeah!”. Sull’ autobus cala il gelo e l’ imbarazzo della sciura Maria che, con fare discreto, si gira dall’altra parte come se nulla fosse, accompagnata da un sottofondo di risatine dei passeggeri che hanno assistito alla scena». Scena da Zelig, oppure, visto che siamo nell’era Obama, sarebbe più appropriato dire che si tratta di una scena da Saturday Night Live.
Già, Obama, lui è una 2G ed è Presidente. Sulinda è una 2G e non può neppure votare. Paradossalmente Sulinda è spesso invitata a promuovere e spiegare le sue idee e quelle dei testimonial dell’Islam progressista in giro per l’Europa e in America, ma qui in Italia non può diventare neppure consigliere di zona. Dopo 30 anni lo Stato italiano non le ha ancora concesso la cittadinanza, e anche se non ha una seconda patria, per rimanere in Italia legalmente con suo marito e le due figlie anch’esse nate in Italia, deve proseguire gli studi universitari, in quanto solo il visto da studente le permette di aggiornare il suo status legale. E se la legge non cambia e la cittadinanza per un cavillo burocratico o per la malafede di un funzionario non le viene concessa, Sulinda arriverà alla pensione (privata s’intende) con 8 o 9 lauree.
Paradossi di un Paese come il nostro che non fa sistema attorno a queste risorse umane cha hanno la fortuna di essere cittadini poliedrici che a 15 anni già parlano 3 lingue. Più di ogni altro analista geopolitico sanno interpretare i nuovi linguaggi dei media e le dinamiche dei Paesi di provenienza dei loro genitori. Hanno fatto sintesi di due mondi. Sono un asset sia per i Paesi d’origine che di adozione; ma vivono con l’ansia di essere fermati dalla polizia magari proprio il giorno in cui hanno preso 30 all’ esame più difficile, e invece di mostrare ai genitori il libretto con il voto, gli sbattono in faccia il “foglio di via”. Quello che dà 30 giorni di tempo per uscire dal Paese dove sono nati. CONTINUA …»
Una legge ingiusta, ma così ingiusta, che una musulmana deve addirittura rivolgersi ai miti idolatri non musulmani per continuare ad aver fede: «Caro Babbo Natale, giuro che sono stata brava, non ho mai preso una nota a scuola, né una multa con la macchina e sugli autobus ho sempre comprato il biglietto. Si, mi è capitato di raccontare delle balle, ma mi pento! Si, lo so, sono musulmana e questo gioca a mio sfavore, però spero che almeno tu non badi a questo dettaglio e legga la mia letterina. In attesa che Babbo Natale risponda alla lettera, e che magari esaudisca il mio desiderio, non mi resta che continuare a compilare i moduli di rinnovo del permesso. Del permesso di stare a casa mia».
Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore