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Chi Si Volta è Perduto

C’era una volta una speranza: governare il Paese. Secondo alcuni la pozione magica per raggiungerla era la semplificazione della politica e nacque un anno fa quando il Partito Democratico rese pubblica l’esigenza di “dare un taglio” a tutti quei partitini che tenevano sotto schiaffo il Governo. Allora c’era Prodi e Palazzo Chigi più che la sede del Governo era il ring ideale di ogni leader politico per recriminare nomine, decreti, indicazioni e segnalazioni. Ogni partito della maggioranza sventolava in faccia al capo del Governo la propria legittimazione popolare, fosse essa dell’uno quanto del venti per cento. Ogni Consiglio dei Ministri era pericoloso e pericolante era il patto sul programma elettorale da realizzare.

Non più tardi di un anno e mezzo Mastella tradì l’alleanza e, travolto dalle indagini giudiziarie che colpirono il Presidente del consiglio regionale campano (ndr, nonché sua moglie), uscì col gruppo UDEUR dalla maggioranza e fece cadere il Governo. Fu allora che Veltroni, cogliendo il sentimento della gente, lanciò la sua linea politica per le imminenti elezioni: “andremo da soli”. Il leader del neopartito dei democratici anticipò tutti sbarazzandosi dei Verdi, dei Comunisti (dilibertiani e bertinottiani), dei Socialisti e dei democristiani mastelliani.

Ma quello che venne definito come il nuovo vento della politica non era altro che una scelta vecchia, pensata e messa da parte, risalente a quando Prodi, neoeletto Presidente ma senza maggioranza, avrebbe potuto e dovuto compiere larghe intese e Governo forte. Non ebbe il coraggio. Mancò la forza di dire la verità e cioè che le elezioni non vennero vinte dal centrosinistra, ma vennero maledettamente pareggiate.

Nel 2006 si è persa così l’opportunità di aprire un nuovo ciclo riformista, con un Governo dei partiti più votati. Sarebbe nato un esecutivo né di sinistra né di destra, ma dalla parte della gente, dove Prodi, Berlusconi, Veltroni, Fini e Casini avrebbero potuto trovare una sintesi sulle soluzioni ai problemi del Paese.

E invece no. A primeggiare fu l’orgoglio di chi si sentiva di aver dovuto vincere e non ha esitato immediatamente a voltare pagina, sbarazzandosi dei cinque anni precedenti di un Governo che è stato il più longevo della nostra storia repubblicana.

La realtà politica di adesso ci offre due Governi: uno esecutivo e uno ombra; ombra di se stesso privo di sintesi, di linee guida e che di recente è stato ulteriormente allargato per dare spazio (e visibilità) a tutti gli scontenti del Pd (non sono pochi).

Dall’altro lato c’è un Governo criticabile, ma non attaccabile. Un governo che dal suo insediamento ha già risolto molti problemi: i rifiuti di Napoli; l’estensione dell’esenzione ICI; la social card; la riproposizione di una Italia leader in Europa e nel mondo; alcuni ritocchi legislativi al “modello scuola” vecchio e obsoleto; la nuova Alitalia; caccia ai fannulloni e, così via.

Di questo tutto si può criticare: l’ICI era una tassa per ricchi e Prodi già aveva provveduto a toglierla al 40% degli italiani; la social card non fa felice chi la riceve perché viene etichettato come “povero”; la scuola pretende riforme condivise; Alitalia si poteva vendere ai francesi; non tutti i lavoratori pubblici sono fannulloni etc…

Ma la mole di lavoro che sta producendo il Governo dei vari Gianni Letta, Maurizio Sacconi, Giulio Tremonti, Roberto Maroni e Altero Matteoli è enorme. E come recita un vecchio detto “si può criticare solo chi fa… non chi non fa”. E questo Governo fa, su questo non c’è alcun dubbio.

La pretesa più assurda che si possa avere oggi è quella di chiedere a Berlusconi di dare vita a una grande coalizione con Veltroni e di instaurare un dialogo obbligato. Niente di più sbagliato. Il Presidente del consiglio ha vinto le elezioni con più di dieci punti di vantaggio, adesso deve governare e deve mettere in atto tutte le policy che ritiene giuste e necessarie per l’Italia: una nazione che attraverso il voto ha dato una sentenza inappellabile alla politica.

Rimane un fatto. Rimane il fatto. Che se qualcuno avesse avuto più coraggio, avesse creduto un po’ di più all’Italia e agli italiani, magari gli atteggiamenti politici sarebbero diversi e questo costante clima di tensione sarebbe meno velenoso e pungente. Sbagliato dire che non ci sarebbero i problemi e le crisi economiche. Ma di certo ci sarebbero potute essere più soluzioni.

Il coraggio, quello morale e non certo fisico,  è costoso, difficile e per questo raro perché potrebbe essere il coraggio di attenerti ai tuoi principi quando la tua posizione potrebbe essere la più popolare, potrebbe essere il mantenersi saldi contro il bigottismo, il pregiudizio, l’ingiustizia, e un comportamento da gradassi. Il coraggio morale è la forza di fare ciò che è giusto, senza pensare alle conseguenze personali. Semplicemente quello che in Italia non siamo stati in grado di fare a ora e tempo.

Adesso avanti così. Chi si volta è perduto.

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