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Le rimesse in Marocco di Charlie Brown

Se per 1 km in taxi ho speso 5 lire egiziane al Cairo, in un villaggio nel cuore del governatorato di Al Fayoum, a circa 100 km a sud-ovest della capitale egiziana, per la stessa distanza percorsa il tassista che mi ha portato dalla stazione dei pullman al mio albergo me ne ha chieste 10. Ecco, il solito tassista che aumenta i prezzi e cerca di approfittarsene perché sono un’occidentale, pensai tra me e me mentre prendevo il portafoglio. “Ok, ti do 5 lire, è la stessa cifra che pagherei al Cairo”, risposi. Infondo oltre ad essere per gli standard locali un generoso prezzo di mercato, gli davo anche la soddisfazione di barattare (NB:sulle guide turistiche e nei saggi sulle discipline interculturali c’è spesso scritto che gli arabi si offendono se non si negozia a tu per tu sul prezzo dei beni e dei servizi). “No, troppo poco” ribatté il tassista. “Qui i prezzi sono aumentati, e la colpa è anche di voi italiani. Siete voi che state rovinando questa città”. Alla fine si è accontento di 7 lire, e alla faccia dell’ospitalità araba sgommò via senza neppure replicare al mio saluto. NB: sulle guide turistiche e nei saggi sulle discipline interculturali c’è spesso scritto che gli arabi sono dei perfezionisti della cortesia e dell’ospitalità.
In effetti, il tassista non aveva totalmente torto sulla responsabilità indiretta dell’Italia se i prezzi presso Al Fayoum sono aumentati. Al Fayoum, una delle zone più povere d’Egitto, è “vittima” degli effetti delle rimesse e della mobilità sociale degli immigrati egiziani residenti in Italia. I 13 mila giovani egiziani originari di quell’aera e che sono partiti in cerca di fortuna nel nostro paese (in Italia, secondo il dossier sull’immigrazione della Caritas ci sono 74 mila egiziani), inviano rimesse ai loro familiari ma soprattutto si stanno costruendo delle belle e spaziose case con i soldi risparmiati nel bel paese. Se prima della loro partenza un metro quadro di terreno costava 1000 lire egiziane (80 euro), il prezzo di mercato di oggi nel Fayoum si aggira intorno a 12.000 lire locali, ovvero quasi 1000 euro. Una cifra astronomica per un egiziano della classe media, il cui stipendio si aggira sui 150 euro al mese. Per di più, gli immigrati che tornano a casa, comprano in euro.
Il flusso di rimesse dei migranti verso i paesi di origine non si traduce sempre in crescita delle economie più arretrate, in aiuto alle famiglie e in accesso all’educazione scolastica. I 7,8 miliardi di dollari che i 2,4 milioni di egiziani in giro per il mondo hanno mandato in patria specialmente dagli Stati Uniti, Arabia Saudita, Canada, Emirati, Australia, Italia e Grecia, hanno un peso maggiore rispetto alla portata dello sviluppo nelle micro aree che hanno gli aiuti umanitari. Secondo le stime della Banca Mondiale, nelle economie emergenti le rimesse ammontano a più del doppio del totale degli aiuti economici allo sviluppo e sono secondi, in termini quantitativi, solo agli investimenti diretti all’estero. Le rimesse, tuttavia, innescano anche delle dinamiche particolari: “Le ripercussioni transazionali delle rimesse” spiega Maurizio Ambrosini docente di Sociologia dei processi migratori e Sociologia urbana presso l’università di Milano, “non mettono in moto soltanto quei meccanismi di imprenditorialità che trainano e favoriscono lo sviluppo dei paesi di origine dei migranti. Le rimesse fanno lievitare il costo della vita e giocano un ruolo nei processi imitativi, nel senso che aumenta la propensione a partire e cercare fortuna all’estero”.
C’è anche una questione che riguarda i consumi. Imane, una ragazza di origine marocchina che vive in Italia da 15 anni, ha detto a Cappuccino & Narghilè di essere sconcertata dal crescente aumento di macchine di lusso, di griffe occidentali, di lounge bar cari come quelli a Milano e di giovani con il Rolex al polso che esibiscono sulla via dello struscio sul lungo mare di Casablanca. “L’economia non cresce” sostiene Imane “ma aumenta il numero di consumi superflui e lo sfoggio di macchine europee e giapponesi e di cinture dal logo più grandi del bacino. Ogni volta che torno in vacanza a Casablanca, mi chiedo da dove arrivi tanta ricchezza e mi sento come Charlie Brown in quella celebre battuta: quando perdiamo mi sento un fallito, quando vinciamo mi sento in colpa”.
Una parte della ricchezza non è prodotta localmente ma arriva dall’estero tramite le rimesse. La comunità marocchina in Italia è la terza etnia dopo quella romena ed albanese. L’anno scorso, i 403.592 marocchini presenti in Italia, hanno inviato in patria 333.023 milioni di euro. In termini generali invece, nel 2008 sono usciti dall’Italia circa 6,3 miliardi di euro, pari allo 0,41 % del Pil. Dal 2000 al 2008 le rimesse sono cresciute di quasi 10 volte. Secondo i dati della ricerca “Le rimesse in Italia nel 2008” fatta dalla fondazione Leone Moressa, ogni straniero ha fatto defluire mediamente nel suo paese di origine una cifra pari a 1.859.01 euro all’anno (circa 155 € al mese). Nel 2000 si trattava di 463 euro all’ano.
Come Imene ha fatto notare, non sempre tutti queste transazioni economiche contribuiscono allo sviluppo dei paesi o alla mobilità sociale delle famiglie. Esiste un forte rapporto tra stili di consumo e costruzione dell’identità. “Le identità sociali, si legge nel libro “Cross generation marketing” di Luca Visconti ed Enzo Mario Napolitano, “si esprimono e si stabilizzano anche tramite i consumi. Consumare è un’attività espressiva ma anche costitutiva: tramite le esperienze di consumo l’attore sociale costituisce se stesso e contribuisce a fissare una serie di classificazioni culturali, riorganizzando in tal modo la propria identità e il mondo che lo circonda L’esportazione di culture di consumo di paesi a sviluppo economico avanzato verso paesi in via di sviluppo necessita tuttavia di una riflessione seria. Tradotto in pratica: cinture Dolce e Gabbana in Marocco, case nuove e tariffe dei taxi più alti in Egitto.

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