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Le “alleanze mobili” non fanno il Pdl

A nord le sortite della Lega su dialetto, gabbie salariali e inno nazionale, complice qualche forzatura giornalistica tipica della bella stagione.
A sud le minacce di nuovi grandi partiti a vocazione locale, per rivendicare spazio e potere.
Al centro la solita Udc, specializzata nel vecchio gioco della destabilizzazione delle coalizioni in ossequi di quel fantomatico grande centro, appunto, risolutore di tutti i problemi.
Sullo sfondo un Pdl che aspetta, lascia parlare gli altri. E concentra le sue attenzioni su un governo che, lo dice il nome stesso, deve innanzitutto pensare a governare.
Questo lo scenario, in estrema sintesi, dell’estate 2009. Con rivendicazioni territoriali, strategie pubblicitarie di partito o di corrente e casi mediatici buoni soprattutto a riempire la politica agostana. Ma non solo: le elezioni regionali si avvicinano. Non è un caso, quindi, se ognuno vuole giocare in leggero anticipo le sue carte. Mentre dall’altra parte, il Pd spera di avere presto un leader per non cedere altre amministrazioni alla compagine berlusconiana.
Il Popolo della Libertà fa bene a restare con i piedi per terra a Roma, e non farsi trascinare più del dovuto da certe polemiche, ma al tempo stesso non può trascurare o peggio ancora assecondare certi segnali. In gioco c’è la stabilità dell’esecutivo e la vittoria, auspicabile, in molte regioni governate oggi dalla sinistra.
Ci sono alleanze da confermare o cambiare, c’è un programma di governance territoriale da definire e proporre ai cittadini. E tutto questo non si può portare a compimento senza imporre la propria linea. Il primo partito d’Italia non può permettersi di indietreggiare dinanzi a certe logiche locali. Il grande movimento creato e guidato dal Cavaliere può raggiungere quote di consenso plebiscitarie solo se rafforza la sua leadership e la sua identità nazionale. In parole povere: devono essere gli altri a bussare alla porta e proporsi per entrare a far parte del progetto. Le famigerate “alleanze mobili”, altro tormentone estivo, penalizzerebbero in primis quelle regioni ancora succubi di certi sistemi clientelari.
Il realismo alla fine ha sempre ragione: senza l’Udc, la Lega e alcuni forti esponenti locali, in determinate zone dello Stivale è impossibile vincere. Non ci piove. Ma se il Pdl vuole raggiungere il tanto agognato 51 % deve, ancora prima di radicarsi profondamente sul territorio, presentarsi come interlocutore principale di questo gioco politico. Deve avere la forza di dettare le regole e di non cedere a paure e pressioni.
E’ questa la sfida più importante: assumere con coraggio la leadership delle idee e del consenso. Lo ha fatto a livello nazionale, deve farlo ora anche in periferia.
Anche a rischio di perdere per strada qualche pezzo e non conquistare una regione. In fondo non ha alcun senso vincere le elezioni con alleanze improbabili e poi essere incapaci di governare.
Non basta appiccicare una bandierina azzurra sulla cartina d’ordinanza. La storia insegna che governare male (vedere a sinistra e ai guai del Pd) è peggio di non governare mai. Si perde la fiducia dei cittadini, la credibilità e quella autorevolezza culturale che rende un partito migliore degli altri.

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