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La vita rinchiusa nella 211

8 premi Goya, miglior film ai festival di Istanbul, Toronto e Hong Kong possono bastare come presentazione per Cella 211, quarto lungometraggio di Monzon che in Spagna ha sbancato al box office con 15 milioni di euro nei soli primi giorni d’uscita.
Film crudo e intenso, come le vicissitudini all’interno della prigione dove il giovane Juan Olivier sta per affrontare il suo nuovo impiego di guardia carceraria. Un incidente seguito dalla rivolta del penitenziario capeggiata dal carismatico Malamadre fa sì che il nuovo secondino venga lasciato in balìa dei detenuti all’interno della Cella 211, la sola libera dopo il suicidio di un prigioniero.
L’unica legge è quella del più forte dentro al braccio di massima sicurezza, dove viene raccontata la vita dei detenuti per cui ogni giorno può essere l’ultimo. Questo lo capisce subito il giovane Olivier che finge di essere uno di loro guadagnandosi la fiducia necessaria, riuscendo ad immergersi nel male più oscuro e di diventarne parte quasi senza accorgersene.
“Il carcere è solo un mondo simile a quello esterno ma compresso come un file”sono le parole del protagonista della pellicola che inchioda alla poltroncina sin dal primo minuto, a tratti toglie il fiato e il finale è a dir poco imprevedibile. Racconta uno spaccato vero e forte della vita carceraria, si concentra maggiormente sui maltrattamenti e le vessazioni di cui sarebbero vittima i prigionieri, un tema insomma attuale che negli ultimi tempi ha fatto discutere in tutta Europa e non solo.

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