Archivio di Cultura

La svolta liberale che parte da Berlino

Sostegno alle piccole e medie imprese, riduzione della pressione fiscale, contenimento della spesa pubblica, senza perdere mai d’occhio i ceti sociali meno agiati. Difesa dei diritti civili, incremento degli investimenti su istruzione e ricerca,  politica estera decisamente rivolta verso occidente: pugno duro con l’Iran e proseguo della missione di pace in Afghanistan.
E’ questo, in estrema sintesi, il programma della Fdp, il partito liberale tedesco, vero trionfatore delle ultime elezioni.
Quella guidata da Guido Westerwelle, non è più una formazione di nicchia. Ma coinvolge un elettorato ampio ed eterogeneo: ci sono  imprenditori e benestanti, certo.  Ma anche operai, disoccupati, ecologisti e socialisti profondamente delusi dall’operato della Spd. Storica forza progressista che ha dominato nell’ultimo decennio senza riuscire mai a realizzare quelle riforme in grado di far ripartire il Paese.
L’enorme passo in avanti compiuto dalla Fdp segna dunque il declino dello statalismo e dell’assistenzialismo in uno dei paesi più importanti,  dal punto di vista economico e politico, del vecchio continente.  
Anche in Germania, quindi, la grande crisi, invece di mettere in discussione – come molti intellettuali auspicavano -la natura stessa del capitalismo e del libero mercato,  ha fatto emergere i grossi limiti di quei sistemi dove l’eccessiva presenza dello Stato ha rallentato lo sviluppo e creato fitte reti di corporazioni e lobbies, dove il privilegio ha avuto sempre la meglio sul merito. E la centralità dell’individuo/cittadino ha dovuto cedere il passo a quel solidarismo e quel conservatorismo che hanno bloccato sul nascere la mobilità sociale e fatto invecchiare le società. Troppo ingessate per reagire con velocità e fermezza ai disastri economici dell’ultimo anno.
La svolta liberale tedesca, poi, può aiutare ad arricchire in Italia il dibattito dentro al Popolo della Libertà. Evitando di subire, come spesso è accaduto alla sinistra nostrana, il fascino di tutto ciò che accade al di fuori dai propri confini nazionali, il Pdl – alla continua ricerca di un’identità ben definita – può prendere sicuramente spunto dal programma vincente della nuova Fdp. Contenuti che fanno già parte del Dna del centrodestra italiano e che andrebbero, come la crisi insegna, coltivati nuovamente.

Riguardo l'autore

vocealta