
E’ questo, in estrema sintesi, il programma della Fdp, il partito liberale tedesco, vero trionfatore delle ultime elezioni.
Quella guidata da Guido Westerwelle, non è più una formazione di nicchia. Ma coinvolge un elettorato ampio ed eterogeneo: ci sono imprenditori e benestanti, certo. Ma anche operai, disoccupati, ecologisti e socialisti profondamente delusi dall’operato della Spd. Storica forza progressista che ha dominato nell’ultimo decennio senza riuscire mai a realizzare quelle riforme in grado di far ripartire il Paese.
L’enorme passo in avanti compiuto dalla Fdp segna dunque il declino dello statalismo e dell’assistenzialismo in uno dei paesi più importanti, dal punto di vista economico e politico, del vecchio continente.
Anche in Germania, quindi, la grande crisi, invece di mettere in discussione – come molti intellettuali auspicavano -la natura stessa del capitalismo e del libero mercato, ha fatto emergere i grossi limiti di quei sistemi dove l’eccessiva presenza dello Stato ha rallentato lo sviluppo e creato fitte reti di corporazioni e lobbies, dove il privilegio ha avuto sempre la meglio sul merito. E la centralità dell’individuo/cittadino ha dovuto cedere il passo a quel solidarismo e quel conservatorismo che hanno bloccato sul nascere la mobilità sociale e fatto invecchiare le società. Troppo ingessate per reagire con velocità e fermezza ai disastri economici dell’ultimo anno.
La svolta liberale tedesca, poi, può aiutare ad arricchire in Italia il dibattito dentro al Popolo della Libertà. Evitando di subire, come spesso è accaduto alla sinistra nostrana, il fascino di tutto ciò che accade al di fuori dai propri confini nazionali, il Pdl – alla continua ricerca di un’identità ben definita – può prendere sicuramente spunto dal programma vincente della nuova Fdp. Contenuti che fanno già parte del Dna del centrodestra italiano e che andrebbero, come la crisi insegna, coltivati nuovamente.