Da IlGiornale
Il Cavaliere ci sta pensando e ripensando. L’idea in fondo è quella delle origini: ridurre a due le aliquote fiscali sui nostri redditi. Tassare gli italiani al 23 e al 33 per cento. Sforbiciare, insomma, la vecchia Irpef, o come diavolo si chiamano oggi le imposte sui redditi. Sarebbe un taglio forte, fortissimo. Ma soprattutto un segnale ai contribuenti. Un nuovo contratto, clamoroso nei suoi tempi di sottoscrizione. Fulminante. Un colpo di teatro inatteso, che smarcherebbe il governo dalle sue impasse e riporterebbe l’esecutivo in diretto contatto con il suo blocco sociale.
È chiaro a tutti come il terreno sia scivolosissimo. Non c’è bisogno di un Ragioniere generale dello Stato per capire che l’effetto immediato di un siffatto taglio fiscale sarebbe dirompente per le casse del Tesoro. Gli economisti liberali, non molto in voga di questi tempi, ritengono che la riduzione forte delle aliquote possa stimolare i consumi e la produzione e per questa via autofinanziarsi. Ma nel breve periodo si creerebbe comunque un buco nei conti pubblici.
Ecco perché la collaborazione con il ministro Tremonti è indispensabile. Una rivoluzione fiscale, lo dice il termine stesso, comporta un certo grado di disordine. È necessario tenere a bada le conseguenze. E di Tremonti si può dire tutto, tranne che in questi difficili anni, non abbia tenuto in sicurezza il bilancio pubblico. Anche troppo, dicono alcuni suoi detrattori all’interno del governo. La verità è che ha resistito alle sirene della spesa pubblica e lo ha fatto quando era più difficile: quando da ogni angolo del Paese si chiedeva un aiuto.
Il gabinetto Berlusconi ha fino a oggi cercato in tutti i modi (talvolta anche sconfessando il proprio dna) di preservare la tenuta sociale: mantenere l’occupazione anche attraverso la protezione della grande impresa, conservare il set di regole che governano le nostre pensioni, trovare nel grande sindacato un alleato. Tutto ciò ha fatto di Tremonti non certo il rivoluzionario socialista Ernest della Tallone di Ferro di Jack London, ma qualcosa di simile. Fino a oggi il nostro sistema ha retto, a fatica ma è rimasto in piedi. Non si può tenere in infinito. Si deve individuare il momento più propizio per voltare pagina: per passare dalla protezione allo sviluppo, dalla paura alla speranza, dalla forte tassazione al premio, dalla conservazione alla rivoluzione. Per carità quella fiscale. Ecco, l’idea di due aliquote per tutti nasce da un’idea di sviluppo di questo Paese. Due aliquote per tutti rappresentano anche una grande moratoria che il governo deve ai contribuenti. Il prezzo che paghiamo per il servizio pubblico è diventato insostenibile comunque lo si guardi. Per ciò che otteniamo (al di sotto della decenza) e per ciò che paghiamo (al di sopra della medesima decenza).
Berlusconi individui in Tremonti l’uomo in grado di tagliare la spesa pubblica, il ministro in grado di contenere l’inevitabile deficit che comporterà la manovra. E si adoperi per una gigantesca operazione di pulizia. Ogni anno il nostro dinosauro statale fagocita 800 miliardi di euro di spesa pubblica. Si alimenta con i nostri quattrini e con un po’ di debito. Occorre affamare la bestia.
Girano per Palazzo Chigi tanti ragionamenti su come impostare un nuovo ciclo di politica economica. Da più parti si cerca di ragionare già sul domani, in cui anche l’ombra della crisi si sarà dissolta dai mercati continentali. Il premier ha in mano una carta formidabile. Ascolti tutti. Nel caso gradui le sue intenzioni: anche se tenere a bada un’idea rivoluzionaria è roba da prestigiatori. Ma alla fine si decida. Se la crisi della nostra produzione dovesse durare per i prossimi sei mesi: occupati, redditi e consumi si sbriciolerebbero. Giochi di anticipo e metta un po’ di benzina nel nostro motore.
È chiaro a tutti come il terreno sia scivolosissimo. Non c’è bisogno di un Ragioniere generale dello Stato per capire che l’effetto immediato di un siffatto taglio fiscale sarebbe dirompente per le casse del Tesoro. Gli economisti liberali, non molto in voga di questi tempi, ritengono che la riduzione forte delle aliquote possa stimolare i consumi e la produzione e per questa via autofinanziarsi. Ma nel breve periodo si creerebbe comunque un buco nei conti pubblici.
Ecco perché la collaborazione con il ministro Tremonti è indispensabile. Una rivoluzione fiscale, lo dice il termine stesso, comporta un certo grado di disordine. È necessario tenere a bada le conseguenze. E di Tremonti si può dire tutto, tranne che in questi difficili anni, non abbia tenuto in sicurezza il bilancio pubblico. Anche troppo, dicono alcuni suoi detrattori all’interno del governo. La verità è che ha resistito alle sirene della spesa pubblica e lo ha fatto quando era più difficile: quando da ogni angolo del Paese si chiedeva un aiuto.
Il gabinetto Berlusconi ha fino a oggi cercato in tutti i modi (talvolta anche sconfessando il proprio dna) di preservare la tenuta sociale: mantenere l’occupazione anche attraverso la protezione della grande impresa, conservare il set di regole che governano le nostre pensioni, trovare nel grande sindacato un alleato. Tutto ciò ha fatto di Tremonti non certo il rivoluzionario socialista Ernest della Tallone di Ferro di Jack London, ma qualcosa di simile. Fino a oggi il nostro sistema ha retto, a fatica ma è rimasto in piedi. Non si può tenere in infinito. Si deve individuare il momento più propizio per voltare pagina: per passare dalla protezione allo sviluppo, dalla paura alla speranza, dalla forte tassazione al premio, dalla conservazione alla rivoluzione. Per carità quella fiscale. Ecco, l’idea di due aliquote per tutti nasce da un’idea di sviluppo di questo Paese. Due aliquote per tutti rappresentano anche una grande moratoria che il governo deve ai contribuenti. Il prezzo che paghiamo per il servizio pubblico è diventato insostenibile comunque lo si guardi. Per ciò che otteniamo (al di sotto della decenza) e per ciò che paghiamo (al di sopra della medesima decenza).
Berlusconi individui in Tremonti l’uomo in grado di tagliare la spesa pubblica, il ministro in grado di contenere l’inevitabile deficit che comporterà la manovra. E si adoperi per una gigantesca operazione di pulizia. Ogni anno il nostro dinosauro statale fagocita 800 miliardi di euro di spesa pubblica. Si alimenta con i nostri quattrini e con un po’ di debito. Occorre affamare la bestia.
Girano per Palazzo Chigi tanti ragionamenti su come impostare un nuovo ciclo di politica economica. Da più parti si cerca di ragionare già sul domani, in cui anche l’ombra della crisi si sarà dissolta dai mercati continentali. Il premier ha in mano una carta formidabile. Ascolti tutti. Nel caso gradui le sue intenzioni: anche se tenere a bada un’idea rivoluzionaria è roba da prestigiatori. Ma alla fine si decida. Se la crisi della nostra produzione dovesse durare per i prossimi sei mesi: occupati, redditi e consumi si sbriciolerebbero. Giochi di anticipo e metta un po’ di benzina nel nostro motore.
Nicola Porro