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Aspettando il Pd

Domenica 25 ottobre, il popolo delle sinistre è chiamato alle urne per eleggere il segretario del partito più importante dell’altra metà del cielo politico italiano.
Tre i personaggi in corsa: ognuno con la sua particolare storia, i suoi pregi, difetti e aspirazioni.
A Pierluigi Bersani va il merito di essere rassicurante, il suo percorso e la sua immagine rappresentano per molti una garanzia. E’ però al contempo troppo legato al passato e poco proiettato al futuro. Vicino a D’Alema e a un’epoca fatta di glorie ma anche imbarazzanti insuccessi.
Franceschini, nel bene e nel male, è il candidato più moderno e comunicativo. Conosce i media e li sa usare. Sa infilarsi bene nei palinsesti dei tg ed è dotato di una discreta capacità di sintesi. Ma è troppo aggressivo e guastatore per un Pd che vuole costruire e non solo distruggere. Spesso, in questi mesi, ha seguito le orme di Di Pietro, invece di provare a ridimensionarlo.
Infine c’è Marino. Lui rappresenta la novità, la discontinuità in un partito che ancora non riesce a fare davvero i conti col passato. Questo basta e avanza per raccogliere il consenso di tutti gli elettori e militanti che vogliono ripartire da zero. Ma al terzo incomodo manca la statura del leader capace di svegliare la folla e accendere gli entusiasmi. Grave mancanza per chi sogna di rivoluzionare la più importante forza di opposizione.
Nessuno dei tre sembra possedere, purtroppo, quella marcia in più in grado di far uscire il Pd dalla fase di stallo.
All’appello mancano soprattutto due cose: il carisma, quello vero, e il coraggio di avere idee chiare e inequivocabili.
Su troppi argomenti ci sono ancora posizioni ambigue. A chi non crede in Berlusconi e nel centrodestra continuano quindi a mancare solidi punti di riferimento.
Ma, contraddizioni e problemi a parte, l’auspicio è che le primarie di domenica portino a un rinnovato equilibrio all’interno del panorama politico italiano e che il nuovo segretario, legittimato dal voto, riesca a rinforzare in tutti i sensi il partito.
Non è un caso se proprio dalla disfatta sarda e dall’addio di Veltroni, il clima nel Paese sia divenuto sempre più ostile. La debolezza e precarietà del Pd hanno lasciato troppo spazio a nuovi estremismi e forme di lotta politica e mediatica che partono dal gossip e arrivano fino alle  minacce al premier di questi giorni.
Dai giornali al parlamento. Il passo è breve e bisogna fare presto. Serve un ritorno alla politica autentica, quella che si fa nelle sedi più opportune e secondo antiche e nobile regole. E serve il ritorno in grande stile del Partito Democratico, per sperare di vivere una nuova fase.
Può sembrare tutto strano e paradossale. Ma in fondo se a volte ti ritrovi a fare il tifo per l’avversario, fai solo un grosso favore alla democrazia.

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