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Quando bamboccione fa rima con fannullone

A coniare il termine fu l’ex ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa che, illustrando i benefici della  sua manovra finanziaria, si lanciò in una invettiva contro i ragazzi che restano sotto l’ala protettrice dei genitori chiamandoli “bamboccioni”.
Con il caso della sentenza del giudice di Bergamo che ha condannato un padre a pagare gli alimenti alla sua “bambina” ultratrentenne studentessa fuoricorso, torna agli onori delle cronache il problema dei giovani che non abbandonano le mura domestiche. A far si che tutto non si riduca al clamore che suscita una notizia di cronaca ecco, puntuali e provocatorie come sempre, le parole del ministro Brunetta. “Io farei una legge anti-bamboccioni per far uscire di casa i ragazzi a 18 anni” afferma il ministro tra il serio e il faceto. E giù una valanga di polemiche, scandalizzate e indignate, della gran parte degli esponenti politici e degli opinionisti.
Sarà che in momenti di crisi economica e di catastrofi naturali siamo tutti più seri e seriosi, ma certo l’ironia e la provocazione nelle parole del titolare di palazzo Vidoni sono state colte da pochi.
Secondo un’indagine Istat svolta nel 2007 su “Famiglia e soggetti sociali”, il 72,9% della popolazione fra i 18 e i 39 anni vive ancora con i propri genitori. Per contestualizzare il fenomeno a livello internazionale è esemplare il caso cinematografico del film Tanguy, in cui una coppia di genitori francesi cerca di convincere il figlio ventottenne a uscire di casa: per adattare lo spirito del film alla realtà di casa nostra, i distributori italiani hanno seriamente pensato di aumentare l’età del protagonista rispetto all’edizione originale.
A spiegare il fenomeno si sono scomodati tanto i guru delle scienze sociali e psicologiche che illustri economisti.
Da Alberoni, il quale sostiene che i giovani non abbandonano il nido genitoriale perché le nostre case “sono belle, ben arredate e confortevoli, vi si mangia ancora su un tavolo apparecchiato con tovaglia, piatti, bicchieri e posate mentre in Inghilterra e negli Usa le case sono mediamente scadenti, sporche, l’arredamento di pessimo gusto, non c’è cultura culinaria, non si sta a tavola”, sino alle posizioni più giuslavoriste secondo cui le difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro e i contratti a tempo determinato o precario rappresentano un freno all’abbandono della casa natale.
Di certo le problematiche economiche e la crisi internazionale hanno esasperato il fenomeno, come conferma il trend a livello internazionale: negli Stati Uniti già da alcuni anni si parla del fenomeno dei “figli boomerang” – ovvero quelli che se ne vanno da casa per andare all’università, ma che poi vi rientrano subito dopo la laurea perché incapaci di mantenersi da soli lavorando – e la tendenza è in forte aumento anche in Canada, così come in Spagna dove l’età media in cui un giovane va a vivere da solo ha raggiunto la soglia dei 30 anni.
Tuttavia, non si può negare come la nostra cultura familiare, specchio di quella collettiva, sia molto protettiva e indulgente, in un certo senso “assistenzialista” verso i propri figli, forse perché, come afferma Brunetta, i padri “privilegiati ed egoisti” sono consapevoli di aver costruito “una società a misura di loro stessi”.
I giovani infatti sono dapprima penalizzati da un sistema di istruzione spessp troppo generoso che li illude e ne innalza il livello di aspirazione, poi da un mercato del lavoro frequentemente iniquo, che non riconosce competenze e merito, così come da una realtà immobiliare con un mercato degli affitti e delle vendite totalmente fuori controllo nelle principali città italiane. Al tempo stesso, però, il 44,8% dei “bamboccioni” dichiara di non spiccare il volo perché sta «bene così».
Probabilmente, come per i fannulloni brunettiani, esistono due “tipologie” di bamboccioni: quelli per scelta, che preferiscono le comodità e le sicurezze del nido familiare alla propria indipendenza e quelli per forza, che anelano a un’indipendenza il cui raggiungimento è ostacolato da problemi economici e lavorativi su cui intervenire è necessario e improrogabile (da Ragionpolitica.it).

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