Non basta il fascino di Veronica, nemmeno la simpatia di Maicol. Pure il carattere fumantino di Mauro non riesce più di tanto a coinvolgere il pubblico.
Il Grande Fratello, quest’anno, non tira. Gli ascolti non sono più quelli di un tempo. E le vicende della casa non entusiasmano nemmeno la rete. Una volta bastava il seno di Cristina. Oggi anche il vojuerismo si è preso una pausa.
Ma, per favore, non facciamola più tragica di quanto sembra. Oppure, dipende dal punto di vista, più ottimistica di quello che è.
I prodotti televisivi, non solo i reality, esercitano un’influenza culturale sugli spettatori. Soprattutto quelli più giovani, sensibili ai messaggi del tubo catodico. Ciò è assodato. Ma da qui alla GF generation ce ne passa. E pure tanto.
Per lunghi nove anni, da quel celebre autunno del 2000 (quando i reality ebbero inizio), se ne son sentite di tutti i colori. Lo scadimento intellettuale della società doveva per forza coincidere con l’imbarbarimento dei contenuti televisivi, favorito ovviamente da isole, grandi fratelli, talpe e via discorrendo. Con una conclusione quantomeno pericolosa: chi li guarda è uno zotico o giù di lì. Quindi più le nomitanion fanno audience e più l’Italia è piena di zotici. Nulla di più semplicistico e fuorviante.
Se Pinocchio batte la Marcuzzi non vuol dire che siamo diventati tutti più buoni. Così come se il GF supera, come è accaduto mesi fa, uno speciale Porta a Porta sul caso Eluana, non significa che siamo un popolo di rozzi insensibili.
La tv ha il suo potere e ricopre certo un ruolo importante. Ma se si valuta un paese guardando i dati auditel si rischiano seri pastrocchi. Si costruiscono realtà sociali che non esistono.
Per questo occorre un chiarimento preventivo: prima che qualcuno inizi ad esultare per la riscoperta collettiva del buon gusto e della moralità. Come se questa dipendesse dalle gesta degli inquilini di Cinecittà.
Le fortune di un programma derivano da tanti fattori. Gli autori a volte ci azzeccano altre no. Poi c’è l’agguerrita concorrenza e non meno importante è la capacità dei protagonisti di creare un feeling con il pubblico.
Quest’anno il Grande Fratello è giunto alla decima edizione. Basta e avanza per giustificare flessioni. Non incuriosisce come prima ed è ormai uguale a se stesso. Il tempo, si sa, non sempre favorisce il successo. E la routine, anche in questo caso, annulla il grande evento e riduce l’appeal.
Quindi lasciate in pace il fatidico Mario Rossi. Ha due lauree, una bella famiglia e un lavoro ben pagato. Non guarda più il GF perché lo annoia. E non perché ha ritrovato dentro sé una nuova integrità.
Il Grande Fratello, quest’anno, non tira. Gli ascolti non sono più quelli di un tempo. E le vicende della casa non entusiasmano nemmeno la rete. Una volta bastava il seno di Cristina. Oggi anche il vojuerismo si è preso una pausa.
Ma, per favore, non facciamola più tragica di quanto sembra. Oppure, dipende dal punto di vista, più ottimistica di quello che è.
I prodotti televisivi, non solo i reality, esercitano un’influenza culturale sugli spettatori. Soprattutto quelli più giovani, sensibili ai messaggi del tubo catodico. Ciò è assodato. Ma da qui alla GF generation ce ne passa. E pure tanto.
Per lunghi nove anni, da quel celebre autunno del 2000 (quando i reality ebbero inizio), se ne son sentite di tutti i colori. Lo scadimento intellettuale della società doveva per forza coincidere con l’imbarbarimento dei contenuti televisivi, favorito ovviamente da isole, grandi fratelli, talpe e via discorrendo. Con una conclusione quantomeno pericolosa: chi li guarda è uno zotico o giù di lì. Quindi più le nomitanion fanno audience e più l’Italia è piena di zotici. Nulla di più semplicistico e fuorviante.
Se Pinocchio batte la Marcuzzi non vuol dire che siamo diventati tutti più buoni. Così come se il GF supera, come è accaduto mesi fa, uno speciale Porta a Porta sul caso Eluana, non significa che siamo un popolo di rozzi insensibili.
La tv ha il suo potere e ricopre certo un ruolo importante. Ma se si valuta un paese guardando i dati auditel si rischiano seri pastrocchi. Si costruiscono realtà sociali che non esistono.
Per questo occorre un chiarimento preventivo: prima che qualcuno inizi ad esultare per la riscoperta collettiva del buon gusto e della moralità. Come se questa dipendesse dalle gesta degli inquilini di Cinecittà.
Le fortune di un programma derivano da tanti fattori. Gli autori a volte ci azzeccano altre no. Poi c’è l’agguerrita concorrenza e non meno importante è la capacità dei protagonisti di creare un feeling con il pubblico.
Quest’anno il Grande Fratello è giunto alla decima edizione. Basta e avanza per giustificare flessioni. Non incuriosisce come prima ed è ormai uguale a se stesso. Il tempo, si sa, non sempre favorisce il successo. E la routine, anche in questo caso, annulla il grande evento e riduce l’appeal.
Quindi lasciate in pace il fatidico Mario Rossi. Ha due lauree, una bella famiglia e un lavoro ben pagato. Non guarda più il GF perché lo annoia. E non perché ha ritrovato dentro sé una nuova integrità.