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Maggioranza compatta: no alla vendita della pillola che uccide

Stop alla RU 486. La commissione Sanità del Senato ha approvato a maggioranza (favorevoli Pdl e Lega, contrario il Pd) il documento finale presentato dal presidente e relatore Antonio Tommassini.
Il documento chiedeva di fermare la procedura di immissione in commercio della discussa pillola abortiva,  in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge 194 e la RU486.
La maggioranza ha risposto compatta (quattordici voti a favore, compreso quello del presidente di commissione), gli otto voti contrari vengono tutti dall’opposizione. Che ora protesta: “Ci dicano una volta per tutte cosa vogliono fare”, ha affermato il capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro. Più duri quelli dell’Idv: “Si tratta di un autentico colpo di mano. E’ assolutamente indecente”.
Ma per comprendere meglio i rischi di questo pericoloso farmaco, pubblichiamo ancora una volta un intervento del sottosegretario Eugenia Roccella, risalente al marzo 2008.

QUELLI CHE VOGLIONO L’ABORTO A DOMICILIO
«A me non l’ha detto nessuno che alla fine mi sarei trovata da sola, nel bagno di casa mia, mezza priva di sensi dal dolore e dalle perdite di sangue, a tirare lo sciacquone che si portava via quello che sarebbe stato un bambino. Questo è stato per me il famoso aborto farmacologico».
Così comincia il drammatico racconto (pubblicato dal Corriere padano) di una ragazza che ha abortito a Piacenza con la Ru486, la pillola che per molti è ancora il simbolo di un aborto meno traumatico e invasivo di quello eseguito con altri metodi. L’abbiamo detto tante volte: il metodo chimico è fisicamente doloroso, come ha riconosciuto il senatore Ignazio Marino, e psicologicamente invasivo, come ha affermato Piergiorgio Crosignani, il primo a sperimentare la Ru486 in Italia.
In Francia, le donne che scelgono l’aborto a domicilio sono sottoposte a un colloquio preliminare per verificare la presenza di una serie di requisiti psicosociali; non si può accedere al metodo in caso di «livello cognitivo insufficiente, vulnerabilità emozionale o psichica, mancanza di disciplina, isolamento relazionale o fisico» e di «scarsa resistenza al dolore». Tradotto in poche parole, significa che una donna deve aspettarsi solitudine, sofferenza, ansia, mancanza di garanzie sanitarie. Eppure ancora tanti, compreso Filippo Facci, non vogliono convincersi che non si tratta della scelta tra «una pratica ospedaliera e culturalmente traumatica» e un’altra «privata e culturalmente non traumatica». Quello che è in gioco non è la preoccupazione di offrire alle donne la pratica migliore. Altrimenti non si capisce lo straordinario caso di due farmaci (la Ru486 e il Cytotec, entrambi necessari al protocollo dell’aborto chimico) promossi ostinatamente da parlamentari, presidenti di regione, consigli regionali e comunali, assessori locali, e non dalle aziende che li producono. Se i politici che sostengono la Ru486 fossero mossi solo da uno straordinario interesse per la salute della donna, avremmo dovuto vedere una identica mobilitazione per la diffusione del metodo Karman, o magari contro l’eccessiva percentuale di parti cesarei in Italia. Ma quando Enrico Rossi, assessore alla Sanità in Toscana, fa esprimere il Consiglio regionale a favore dell’uso di un farmaco abortivo tuttora illegale, quando praticamente tutte le Regioni amministrate dal centrosinistra seguono a cascata il suo esempio, il motivo è politico.
Come ha scritto anche Facci, la 194 è ormai per tutti la legge che «non si tocca»: si sa che riaprire un dibattito parlamentare sull’interruzione di gravidanza può provocare solo lacerazioni e crisi, a destra come a sinistra. Ma introducendo l’aborto a domicilio, la 194 sarebbe modificata nei fatti, senza la necessità immediata di un rischioso passaggio parlamentare. Diffondere la pillola abortiva vuol dire trasferire l’aborto fuori dall’ospedale, e smontare silenziosamente la legge italiana, che prevede l’obbligo di eseguire gli interventi nelle strutture pubbliche. Questo renderebbe definitivamente inapplicata e inapplicabile la prima parte della 194, dedicata alla prevenzione dell’aborto e al sostegno delle maternità difficili. È facile ipotizzare che l’Italia seguirebbe l’esempio francese, dove la vecchia legge Veil, la più simile alla nostra in Europa, è stata modificata alcuni anni dopo l’introduzione della Ru486. Oggi in Francia si può chiedere la pillola al medico convenzionato, che fornisce i farmaci per abortire, gli antidolorifici di routine, il foglietto con le istruzioni, il numero di telefono del pronto soccorso più vicino. Una firma, e poi a casa, da sola, per poi raccontare, come la ragazza di Piacenza: «Mi sento male a ricordare la solitudine, la mancanza di tutela, la mancanza di tutti». Si dice: ma le donne possono scegliere, e la pillola abortiva è un’opzione in più. Una studiosa femminista, Gail Pheterson, ha documentato come l’idea di scelta sia sostanzialmente aleatoria, e come sia invece il sistema sanitario e l’orientamento dei medici a indirizzare verso il metodo abortivo. In alcuni Paesi, come Olanda e Germania, la Ru486 è commercializzata, ma le donne non la scelgono, tanto che la ditta che la distribuisce in Germania meditava di ritirarla dal mercato, mentre in altri, come la Francia, è ampiamente usata. La scelta, in realtà, è tutta politica, ed è tra chi vuole applicare la 194 e chi la vuole svuotare dall’interno. Senza toccarla, naturalmente: almeno per il momento (da il Giornale).

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