Archivio di Spettacolo

La democrazia del grande schermo

La fine dell’estate coincide con Venezia. Con il Cinema.  Evento che resiste e che continua ad attrarre interesse.
La mostra si muove su due dimensioni. C’è un lato estremamente ludico, leggero, che sconfina nel gossip, che invade le riviste e le scalette dei telegiornali. I divi, con il loro fascino, le loro storie e i loro amori sbarcano in Laguna e monopolizzano le attenzioni.  Paparazzi a caccia di sorrisi e smutandate.  Giornalisti pronti a raccogliere il saluto nel solito, comico, italiano all’americana.
Avanti, o dietro  – dipende dai punti di vista – a questo circo mediatico, c’è invece  la rassegna. Quella vera. Come sempre di spessore. Autorevole e a tratti austera.  Pellicole che ci spiegano il mondo e la vita. Artisti che faticano, a volte, ad evitare con intelligenza la retorica e la banalità. Un mondo che senza dubbio è cultura. Un’arte che però rischia di essere fine a se stessa. Di guardarsi allo specchio e piacersi troppo. Sullo schermo film che, a parte le rare eccezioni che confermano le regole,  in pochi vedranno.  Chi non fa parte del ristretto giro (il pubblico, ovviamente) non apprezza. E il botteghino continua a infischiarsene di mostre e festival. Autorevoli, ma lontani anni luce da tutto il resto.
Da semplice appassionato, mi chiedo: ma perché un film commerciale non può essere un capolavoro?
Sarebbe bello avvicinare un po’ di più le due opposte dimensioni dell’evento: meno vojeuristica la prima, più popolare la seconda. Utopia, forse. Ma qui non si discute l’ovvia differenza tra pubblico e critica, vecchio adagio della centenaria storia del Cinema. Ma si apprezzerebbe lo sforzo, da parte degli addetti ai lavori, di avvicinare il grande schermo alla gente. Senza facili ammiccamenti, ma anche senza supponenze e autoreferenzialità.
Il Cinema, con la sua straordinaria semplicità, i suoi linguaggi immediati, il suo essere specchio della realtà, non merita solo chiusure o snobisimi. Spesso lo si distingue,  con troppe forzature, dalla Tv, divenuta “cattiva” e “rozza”. Ma alla fine il pubblico, pagando biglietti anche salati, sceglie davvero, fa crollare miti o li rende immortali. E’ la democrazia del mercato. Quella che i festival, con scarso successo, tendono troppo a demonizzare.
Sarebbe opportuna invece una tregua tra cultura e commercio. Tra arte e spettacolo.
Credo, da spettatore qualunque, che potrebbero guadagnarci tutti.

 

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