Archivio Attualità

Iran e israele unite nella guerra

“Difficile non è cavalcare la tigre, difficile è scendere”. Si potrebbe sintetizzare con questa frase di Sun Tzu ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza. Partiamo da alcuni assunti.

Uno degli elementi, al netto dei motivi storici e più profondi, fra le cause di questa guerra è una particolare coincidenza di scadenze elettorali nei maggiori paesi di influenza nell’area della Terra Santa.
Israele andrà presto ad elezioni. Il partito al Governo, Kadima, fondato da Ariel Sharon con fuoriusciti dal partito laburista e del Likud, una sorta di partito dell’unità nazionale, soffre l’ascesa nei sondaggi del più duro e intransigente Benjamin Netaniau, leader del Likud.
Kadima è infatti “responsabile” del ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza che lasciò il territorio in balia del colpo di mano di Hamas, che in pochi giorni sbaragliò le forze fedeli al partito di maggioranza Fatah (storica formazione una tempo guidata dall’unico vero leader dei palestinesi Yasser Arafat).
Certo che non è stata una bella immagine quella di un Governo che si ritira dalla Striscia, e fa chiudere molti insediamenti israeliani nei territori palestinesi, per poi avere a che fare con i missili lanciati sui villaggi israeliani dai nuovi padroni della striscia: Hamas.
In questo caso la guerra “serve” a Kadima e ai suoi leader per mostrare ben in aria il pugno chiuso di un Governo che non transige contro Hamas.

Ma il fattore elettorale influisce, e molto, anche all’esterno di Israele.
Premessa: Hamas è ricco di armi e di razzi, sebbene non abbia mezzi di sostentamento sufficienti. E’ quindi ad una fonte esterna che Hamas deve la sua, relativa, forza militare. Ed è alla stessa che deve la sua popolarità: Hamas, come il Partito nazionalsocialista di Hitler, ha consenso e sostegno popolare in virtù della sua natura mutualista nei confronti delle popolazioni povere della Striscia di Gaza. I viveri, e le medicine, distribuiti nella Striscia sono inevitabilmente di derivazione straniera. Questa influenza è esercitata dall’Iran, potenza regionale che ambisce ad essere il nuovo faro delle popolazioni musulmane.  

L’Iran è universalmente riconosciuto come il primo fomentatore del terrorismo nella zona, in Iraq come ora nella Striscia. Ora, quale giovamento trova Hamas dalla rottura della tregua con Israele, che lo ridurrà in macerie nella sua roccaforte Gaza? Il tutto con il sostegno neanche troppo velato dell’Autorità Nazionale Palestinese di Fatah. Il Presidente palestinese Abu Mazen, infatti, vede come oro colato gli israeliani che nella Striscia fanno ciò che Fatah non ha i mezzi militari per fare. Ovviamente l’interesse è tutto del regime iraniano: in calo di consensi nella popolazione interna, con un bilancio in picchiata dovuto alla drastica riduzione del prezzo del petrolio. Inoltre, ed ecco che torniamo allo stesso elemento, a giugno in Iran ci sono le elezioni.

Quale modo migliore per recuperare consensi, se non quello di creare una minaccia esterna, Israele, e unire il paese nell’indignazione contro una guerra scatenata dai “diavoli” sionisti?

Hamas affonda le sue radici nel movimento islamico egiziano dei Fratelli Musulmani. Ed ecco che emerge anche l’Egitto, potenza principale nella diplomazia dell’area. Nella terra benedetta dal Nilo, dopo l’omicidio di Sadat, niente si può decidere contro i Fratelli Musulmani, che hanno base elettorale e controllano la gran parte delle madrasse (scuole musulmane) dove si formano i giovani egiziani. E’ quindi evidente l’imbarazzo e la preoccupazione di Mubarak, che non può ovviamente sostenere Hamas, perché il suo ruolo egemone nel Medioriente, benedetto dall’Occidente, verrebbe a cadere. Ma non può neanche condannare Hamas: non solo scatenerebbe rivolte nella base musulmana, ma rischierebbe seriamente di finire come Sadat.
E’ quindi una situazione che nella fase attuale giova solo al regime iraniano, contro l’Egitto, per l’egemonia dell’area. E’ quindi verosimile pensare che la guerra dichiarata da Hamas a Israele sia un preciso diktat di Ahmadinejad. Perché adesso? Perché una nuova era si affaccia aldilà dell’Atlantico, e questa crisi, che sconvolge gli equilibri nella zona e li riassetta in altre forme, è già un bel “fatto compiuto” con il quale Obama dovrà fare i conti.

Il bilancio è positivo anche per il Governo israeliano, che dimostra di saper usare il pugno duro e allo stesso tempo riduce enormemente la caduta dei missili Qassam. Quindi i due nemici acerrimi, Israele e il regime iraniano, sono i maggiori beneficiari di questa crisi. Chissà cosa succederà dopo le rispettive elezioni: sarà il momento di smettere di cavalcarla, per trovarsi faccia a faccia con la tigre.

Riguardo l'autore

vocealta