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Io ero lì, e vi racconto com’è andata

Apro gli occhi e penso ‘è un giorno di festa, la nostra festa’. È il 13 dicembre e oggi consegnano la tessera numero uno al presidente del Consiglio: Silvio Berlusconi. Devo essere a Milano perché ho organizzato una cinquantina di giovani pronti a salire sul palco a conclusione dell’intervento del Presidente. È freddo, fuori piove, Roma è cupa, il letto è caldo ma devo andare!
Alle 12.15 sono sul Frecciarossa diretto a Milano con Caterina, inseparabile compagna di viaggio.
Porto con me una busta grandissima con 50 magliette ‘griffate’ “Meno male che Silvio c’è” e 50 bandiere bianche e azzurre dei Club della Libertà.
13 minuti di ritardo e alle 15.58 arriviamo a Milano, stazione centrale. Il buon Emanuel Piona, coordinatore della Giovane Italia della Lombardia, attende con la sua auto noi e le nostre magliette. Carichiamo tutto e alle 16.30 siamo in piazza del duomo.
Fa un freddo infernale, il termometro segna 1°C, ma ancora c’è un filo di luce. Si prospetta una serata glaciale per uno abituato al tepore romano… Ma non importa oggi è un giorno di festa, per il Popolo della Libertà, per il Premier, per l’uomo, Silvio Berlusconi messo alla gogna da tutti i giornali e politici contro.
Ad attenderci circa cento ragazzi, anch’essi infreddoliti, ma si sa i milanesi hanno più attitudine alle basse temperature. C’è allegria, c’è voglia di trascorrere una bellissima giornata. Si scherza, si ride, ci si prende in giro. Ecco che il cuore si riscalda e la voce di Guido Podestà che annuncia l’arrivo imminente del Presidente fa salire di qualche grado la temperatura corporea. ‘Ci siamo’ rifletto ‘ora devo organizzare tutto alla perfezione’, ma capisco al volo che non è facile perché lontani iniziano a sentirsi i fischi di qualche teppista che di lì a poco avrebbe rovinato tutto.
Cinquanta ragazzi raggiungono le transenne sotto il palco, altri 50 vengono con me dietro le quinte, pronti a salire sul palco con magliette e bandiere. “I Club ci sono?” alzo la voce rivolgendomi ai ragazzi. È un coro unanime: tutti presenti, tutti carichi e ormai anche tutti belli caldi! Arriva da Bologna anche Mario Valducci, in tenuta sportiva con un cappotto blu. Corre sul palco.
Ecco che giunge l’Audi del Presidente. Lui è sorridente nonostante la sonora sconfitta del Milan contro il Palermo a San Siro. Saluta tutti, la gente è allegra, si spinge sulle transenne per toccarlo, per stringere la sua mano, per farsi notare. È la sua gente, è la sua Milano, è la sua famiglia. Alzo gli occhi e la cornice è splendida: il Duomo di Milano alle sue spalle lo dipinge leader più che mai.
Berlusconi inizia a parlare. Io sono dietro al palco, non ascolto il suo intervento, ma mi concentro sui ragazzi, che poverini stavano fermi ad attendere un mio segnale. C’è agitazione, vedo lo staff del presidente molto preoccupato, ci sono fischi, si sentono urla, i carabinieri mi dicono che ci sono circa sessanta ragazzi che vogliono contestare. Giunge voce che ci sono stati dei tafferugli davanti il palco con qualche dimostrante che faceva ‘buu’ al Presidente. “Si sono picchiati, hanno allontanato un paio di giovani che prendevano a spintoni la gente e gridavano contro Berlusconi”, questo il commento di un carabiniere in servizio d’ordine.
Mi giro dietro al palco e vedo una schiera di poliziotti in stile sommossa lungo il corridoio che permette l’uscita all’auto del Premier. Mi volto ancora e sento gente parlottare “Ho paura, io torno a casa, mio figlio vedrà Berlusconi un’altra volta”… “Ma che è questo caos? Non è che succede qualcosa?”. C’è preoccupazione, si respira un’aria cupa, io continuo a girarmi intorno come se sentissi qualcosa alle spalle. ‘C’è un clima avvelenato’ penso tra me e me.
Ecco che mi chiamano “Andrea, porta i ragazzi che li facciamo salire sul palco”. Incrocio lo sguardo di Emanuel e via, ecco pronti i cinquanta ragazzi ‘targati’ “Meno male che Silvio c’è”. Suona l’inno d’Italia, sono felice perché molti di loro non hanno mai visto da vicino Silvio Berlusconi. Una ragazza prima di salire mi ringrazia affettuosamente, era commossa.
‘Quanta felicità che da quest’uomo’, ricordo ancora la prima volta che lo vidi: il cuore a mille e un senso di ammirazione unico. Stavolta toccava a loro, giovani ventenni tutti emozionati.
Prendo Caterina e le dico di starmi vicino che quando il Presidente se ne sarebbe andato saremo dovuti correre in stazione. Emanuel intanto si dirige verso i ragazzi. Devono scendere dal palco perché la “tessera numero uno del Popolo della Libertà” vuol salutare tutta la sua gente.
Qualcuno storce il naso ma Silvio Berlusconi è fatto così, se non sente il calore della gente non è contento. Ed è un’ovazione, tutti che spingono per sfiorarlo, per salutarlo e lui che sembra conoscere tutti, tant’è che molti li chiama per nome “Ciao Richard”, così saluta il fratello di Alan Rizzi, giovane assessore del Comune di Milano. Io mi avvicino tenendo strette alcune magliette che avevo racimolato dai ragazzi.
C’è confusione perché il Premier è ormai lungo le transenne dietro il palco e non vuol sentir parlare di entrare in macchina. Il suo sorriso e la sua gioia vengono stroncate però da un uomo di mezza altezza che spingendosi tra la folla scaraventa sul volto del Presidente del Consiglio un oggetto contundente.
In meno di cinque secondi il Presidente è una maschera di sangue, viene messo in macchina e tanponato. Io sono lì e credendo di avere di fronte una carica di qualche gruppo ‘contro’, la prima cosa che ho fatto è far togliere tutte le magliette ai ragazzi che erano app ena scesi dal palco. Non capisco nulla, sento le gambe cedere, sono appoggiato all’Audi del Premier, lo vedo dentro dimenarsi dal tampone. Si accinge allo sportello, lo apre, e con una forza incredibile (stavano provando a fermarlo), sale sul predellino, si guarda intorno con uno sguardo che non avevo mai visto prima. È incazzato, è rosso di sangue, ma il livido più vistoso è quello di rabbia. Sembra dire: ‘Ecco cosa mi hanno fatto. Ecco cosa possono fare a tutti voi’. La scorta lo strattona e lo rimette in macchina. Gladiatore.
La gente intorno è impaurita, passa il tale che lo ha attentato. Lui è il vero miracolato, portato via dalla folla che lo avrebbe ucciso a calci. Dico a Caterina ed Ilaria (giovane ragazza di Monza) di stare vicini e di buttar via le bandiere dei Club della Libertà. Ho un istinto, che poi sarà quello di molti: “È stato Di Pietro, è stato Di Pietro”, grido dal perimetro di sicurezza. È un tam tam: “È stato Di Pietro, è stato Di Pietro”, centinaia di persone lo gridano. Si avvicina a me qualche giornalista che mi chiede se fosse stato davvero Di Pietro, ho solo il tempo di dire: “È il mandante morale”. Arriva intanto Emanuel, prendiamo Caterina, Pamela (la giovane alla quale il Premier ha consegnato la tessera dei Giovani del Pdl sul palco pochi minuti prima) e Mario Valducci. Corriamo al San Raffaele.
In auto riusciamo a vedere le immagini dalla tv della macchina di Emanuel che si accende ad ogni fermata sul Tg4. L’audio c’è sempre ed è chiaro il messaggio di Fede che se la prende più volte con il clima d’odio perseguito da Di Pietro. In venti minuti siamo al San Raffaele sono le 19:30, entriamo al pronto soccorso e dopo nemmeno un minuto ecco arrivare Silvio Berlusconi adagiato su una barella. Ha del ghiaccio sul viso, riesce ad aprire l’occhio destro, a vederci e salutarci affettuosamente. Ma è visibilmente turbato, scosso e dolorante. Valducci entra con lui in ‘sala urgenze’; io, le ragazze, Emanuel e Guido Podestà, da poco arrivato, restiamo fuori. Entra il Ministro Fazio, entra il fratello Paolo Berlusconi, entra il Ministro Brambilla.
Meno di mezz’ora di attesa e si apre la porta, i medici aprono tutte e due le ante di essa, ‘è ancora in barella…’. Ed infatti ecco uscire il lettino, con il Presidente tenuto per mano da Mario Valducci. Non apre gli occhi stavolta, si percepisce però la grande sofferenza dell’uomo, di Silvio, ferito fuori, ma ancor più dentro. È un leone, pronto a rialzarsi. Sono convinto che se fosse per lui scenderebbe già in piedi a dichiarare. Altro che predellino2. Sono le 19.50.
Usciamo fuori e scambiamo due battute con Galliani, da poco arrivato, e Bonaiuti che passava da un telefono all’altro. Il più scosso è il Ministro Bondi. Lo vedo che dolcemente posa le labbra sulla guancia quelle dell’amico Bonaiuti come a dire ‘Caro Paolo sono a pezzi’.
Torniamo alla macchina, fuggiamo via, lasciandoci alle spalle una processione di uomini. Una pizza con Mario Valducci e poi sul treno delle 21.00. Alle 24.00 esatte sono a Termini con Caterina. Un po’ turbato, un po’ arrabbiato, ma di certo ancor più convinto del lavoro che sto seguendo senza conoscere giorni di riposo, ancora più determinato a portare avanti un valore così arduo e pericoloso come la libertà.

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