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Intervista in esclusiva a Luc Vandeputte: Il PPE per un’Europa più democratica

BRUXELLES – L’esito del cammino di integrazione europea si può prestare a mille diverse interpretazioni. Ma una sola, fra tutte, consentirebbe di mantenere viva l’attenzione dei cittadini ed è quella che vede il coinvolgimento della società civile nella predisposizione dell’agenda politica europea. Come? Attraverso i partiti. Il bassissimo turnout elettorale, per fortuna non in Italia, dimostra come scarso sia l’interesse verso i momenti elettorali europei. Ma può questo essere imputato soltanto al mancato coinvolgimento mediatico?
Luc Vandeputte, deputy secretary general del PPE, prova a rispondere a questa domanda, assieme ad altre questioni irrisolte, che fanno emergere la necessità di un maggiore dibattito non solo a livello europeo, ma anche più concretamente nei vari ambiti nazionali.
“I media non hanno interesse a coprire l’area del dibattito politico europeo, poiché agli occhi del pubblico esso è estremamente grigio. Non si fa audience perché non c’è un vero e proprio scontro fra maggioranza e opposizione, fra ideologie di destra e ideologie di sinistra. Il vero scontro è fra euroscettici ed eurottimisti e solo se in agenda sono presenti temi caldi si riesce a creare una forte attenzione mediatica”.
Ma allora, qual è il ruolo dei partiti europei?
I partiti non sono dei soggetti forti come quelli nazionali. Di solito, il gruppo parlamentare è una propaggine del partito e fa valere in Parlamento le sue direttive. A livello europeo, la situazione si capovolge, poiché “fra i partiti politici e i gruppi parlamentari esiste il medesimo rapporto che fra Davide e Golia. Sono i gruppi ad ottenere una parte consistente dei finanziamenti e solo a partire dal 2004 i partiti sono riusciti ad ottenere un apposito capitolo di bilancio da cui prendere una parte dei proventi per finanziare le proprie attività. Ma il cammino è ancora in fase di completamento”.
L’attività dei partiti non è all’interno delle istituzioni, che sono dominate dai gruppi, ma al di fuori. I partiti mirano a coinvolgere le masse, a dare risonanza agli argomenti in discussione nell’agenda politica europea. “Sono una sorta di ombrello che ricopre tutti i partiti nazionali e, attraverso i summit dei capi di stato e di governo, nel PPE si mira a  creare una linea guida comune, una political framework unitaria”.
Che dire delle critiche spesso rivolte ai partiti europei, di essere un mero contenitore elettorale? “Sono prive di fondamento. È vero che la campagna elettorale è un momento rilevante della vita di partito, ma bisogna considerare che il PPE non concorre con la propria label. D’altra parte che senso avrebbe fare campagna con il proprio simbolo se poi i cittadini non possono votarlo? Il nostro compito è quello di fornire assistenza materiale e personale ai partiti nazionali che sono allineati con i nostri valori, che portano avanti il nostro stesso manifesto politico”.
Se dopo anni di dibattiti, peraltro, la predisposizione di un sistema elettorale europeo uniforme o, quantomeno, di liste paneuropee o clusters elettorali più estesi del territorio nazionale, appare ancora un miraggio, oggi più che mai è sentita l’esigenza di sostenere e rafforzare i nascenti partiti europei, fondamentale spiraglio democratico in un ordinamento fortemente retto da tecnocrati.  Fra tutti primeggia proprio il PPE, primo e più importante partito con 74 partiti membri di 38 diversi Stati, 19 Capi di governo, 9 Commissari europei e un gruppo parlamentare di 265 deputati, ma anche con un movimento giovanile senza paragoni, lo YEPP, che conta oltre un milione di giovani attivisti da tutta europa e il cui Segretario Generale è proprio un italiano, l’ex giovanissimo candidato alle europee del 2009, Carlo De Romanis.

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