Archivio di Eventualmente

Il retroscena/ “Difesi il Kgb con le armi”

MOSCA — Mentre il Muro cadeva e la vita dei tedeschi dell’Est cambiava per sempre, Vladimir Putin era occupato notte e giorno a distruggere dossier, a cancellare le tracce di tutte le comunicazioni, a bruciare documenti nella sede del Kgb di Dresda. «Avevamo talmente tanta roba da mettere nel fuoco che a un certo punto la stufa scoppiò», ha raccontato lui stesso in una lunga intervista che il canale televisivo Ntv manderà in onda questa sera. Poi, dopo l’assalto agli uffici locali della Stasi, venne il turno della sede del Kgb. Una folla enorme si assiepò davanti alla palazzina che ospitava i sovietici e si fermò solo perché lo stesso primo ministro russo, allora giovane colonnello del servizi segreti, uscì fuori e minacciò di usare le armi. La vita dorata di Vladimir Putin, numero due del Kgb nella città della Ddr a sud di Berlino, pagato parte in dollari e parte in marchi, stava per finire. Vladimir e Lyudmila sarebbero presto ritornati a San Pietroburgo, dove lui, senza soldi e senza futuro, pensò pure di mettersi a fare il tassista.

LA VITA IN GERMANIA – Nella Germania Est, invece, era stata tutta un’altra storia. I Putin c’erano arrivati nel 1985, mentre Gorbaciov dava inizio alla perestrojka. Ma nella Ddr molto poco cambiò in quegli anni: «Era come l’Unione Sovietica di trent’anni prima, un Paese totalitario», ha detto ancora Putin. Totalitario ma ricco. Al posto delle file interminabili per qualche salsiccia, c’era ogni ben di dio. «Avevamo perfino una Zhigulì di servizio, considerata un’ottima macchina in confronto alle Trabant. E nei fine settimana ce ne andavamo sempre in giro per la Sassonia», ha raccontato Lyudmila. Vladimir lavorava fianco a fianco con i colleghi della Stasi e il venerdì sera andava sempre a farsi una birra con loro, tanto che mise su 12 chili. Il giovane colonnello si occupava di «spionaggio politico»: reclutare fonti, ottenere informazioni, analizzarle e trasmetterle a Mosca. A Dresda c’era un’importante fabbrica elettronica, la Robotron, e Putin teneva d’occhio gli stranieri che andavano a visitarla. Si dice, ma lui non l’ha mai confermato, che poco prima della caduta del Muro, ebbe il compito di assoldare una rete di agenti che avrebbero dovuto fungere da quinta colonna dell’Urss nella Germania riunificata. Uno di loro, un certo Klaus Zuchold, venne subito preso e confessò ogni cosa al controspionaggio della Germania occidentale. Così la «brillante» operazione di Putin andò per aria.

LA DISTRUZIONE DELLE PROVE – Quel 9 novembre, Putin assistette con tristezza agli eventi di Berlino: «Ad essere onesti devo dire che mi dispiaceva che l’Urss stesse perdendo le sue posizioni in Europa», ha confessato. «Però capivo che una posizione costruita sulle divisioni e sui muri non poteva durare». Nei giorni seguenti tutti gli uomini del Kgb si diedero da fare per prepararsi ad abbandonare la posizione. «Dovevamo distruggere ogni cosa, interrompere le linee di comunicazione; solo il materiale più importante fu trasferito a Mosca», ha detto l’ex presidente russo. La notte del 5 dicembre la folla occupò la sede della Stasi a Dresda. La mattina dopo tutti si radunarono davanti alla palazzina di Angelikastrasse 4, dove aveva sede (in incognito) il Kgb. All’interno chiamarono il vicino distaccamento militare per chiedere aiuto, ma la risposta fu negativa: «Non possiamo fare nulla senza l’autorizzazione di Mosca, e Mosca tace». Putin ebbe la sensazione che «l’Urss non esistesse già più». Uscì fuori con la pistola in mano (lui dice che aveva a fianco un soldato armato), si qualificò come interprete e spiegò che quello era territorio sovietico. La gente rinunciò a scavalcare il muro di cinta.

Fabrizio Dragosei

Riguardo l'autore

vocealta