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Il resto di niente

Una delle più importanti riflessioni intorno al ruolo della storia per l’umanità, ci viene offerta da Giambattista Vico. Secondo il filosofo napoletano, la storia deve essere percepita come una fatto umano caratterizzato dal leggi, le stesse leggi che possiamo individuare nella mente umana. Queste ci consentirebbero di poter tracciare una linea di progresso nello sviluppo delle civiltà, che da una condizione barbara condurrebbero all’età degli uomini, capaci tutti di essere governati dalle stesse leggi. Può presentarsi fuori luogo questa apertura, ma il romanzo di Enzo Striano, Il resto di niente, descrive quanto ha contribuito l’elogio delle mente e la conseguente fiducia nel progresso all’affermazione dei moti rivoluzionari partenopei.
Attraverso l’accostamento della lingua francese, della lingua spagnola e della lingua napoletana, nel romanzo vengono descritti i dialoghi di Eleonora de Fonseca Pimentel con Vincenzo cuoco, Mario Pagano ed altri importanti intellettuali del settecento. Striano descrive la società napoletana che vuole liberarsi dal potere della Chiesa, dai Borboni, ma anche dalla paura per i Giacobini o rivoluzionari, e per la Camorra. Eleonora non è una semplice utopista, ma un intellettuale alla ricerca di una risposta alle angosce degli uomini, convinta che si può ottenere uno slancio verso un mondo migliore soltanto se si riesce ad estirpare dalla terra la malattia della miseria.

Per questo motivo gli uomini dotati di ragione, sembra suggerirci la rivoluzionaria, non possono rinunciare al progresso.

Ma il romanzo acquista la sua valenza politica, quando Enzo Striano, trasforma l’ottimismo della protagonista, in un ottimismo tragico, insufficiente ed inutile. Impotente di fronte alla forza della Storia che non possiamo più controllare e regolare, come volevano gli intellettuali del settecento, perchè negli uomini è presente un lato nascosto, un amore per il tragico, il piacere per la degradazione.

Non tutti gli uomini hanno la forza di scegliere, di decidere per la propria esistenza e preferiscono che qualcuno lo faccia la loro posto.

Così la via di Eleonora de Fonseca diviene anche la prova di come sia impossibile far coesistere la Storia con la ragione ed in particolare l’irrazionalità della prima con la razionalità della seconda. La sconfitta di Eleonora, la sua brutale morte, non invita tuttavia a rinunciare alla percezione del cambiamento, ma pone l’accento sulla non necessaria coincidenza fra mutamento e progresso. Tuttavia il cambiamento non coinvolge tutti allo stesso modo lungo una ipotetica linea della Storia.

Ognuno fai conti con la propria storia non riconducibile ad un finale universale.

In conclusione ritengo che si possa riprendere il discorso di Vico, riconoscendone la sua intuizione a proposito dei ricorsi storici, visti piuttosto come un continuo susseguirsi di momenti di crisi e non come un inevitabile cambiamento verso “la società degli uomini”.
La stessa crisi che si presenta nella politica contemporanea. E che con molta probabilità Enzo Striano intravedeva anche negli anni ottanta quando il suo romanzo incomincia a diffondersi.

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