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Il Paese ha già approvato il referendum

Il dibattito politico si infiamma in questi giorni sul fatidico referendum. Quattro le parti in causa: il comitato promotore, il Pdl, il Pd e la Lega. In questo gioco, forse poco stimolante per l’opinione pubblica, ognuno pensa a tirare l’acqua al proprio mulino. Per i referendari l’intento è chiaro: accorpare tutto con le elezioni amministrative ed europee, in modo da favorire ulteriormente il raggiungimento del quorum, che in date più balneari sarebbe fortemente a rischio. Il Pdl, non senza qualche leggero imbarazzo, prende tempo: la sua vocazione e aspirazione maggioritaria deve pur sempre fare i conti con gli alleati padani. Il Pd, invece, data la rottura con l’Italia dei Valori, ha il vantaggio non trascurabile di poter invocare il referendum senza doversi preoccupare di offendere le suscettibilità altrui. La Lega, che per ovvi motivi teme la consultazione, si appella per la prima volta alla Costituzione. Ora è difficile capire come le cose andranno a finire. Il punto centrale è all’apparenza economico: l’election day farebbe risparmiare allo Stato parecchi milioni di euro, che in tempi di crisi e terremoto sarebbe opportuno non sciupare. Ma in realtà la vicenda tocca pure gli equilibri politici, per tale motivo da Roma viene a mancare quel decisionismo ravvisato invece negli ultimi mesi riguardo ad altre occasioni. La soluzione migliore, a questo punto, potrebbe essere una sola: rinviare il referendum a data da destinarsi. La partitocrazia lecerante, la frammentazione politica e l’instabilità istituzionale non sono certo all’ordine del giorno. Gli elettori, da soli, hanno già creato un sistema maggioritario e bipartitico. Oggi le priorità sono altre e forse è inutile perdersi in discussioni che interessano poco i cittadini.

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