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Gheddafi ha le ore contate

Il regime del colonnello Gheddafi si sta sgretolando rapidamente e si rincorrono voci secondo cui il leader libico avrebbe già abbandonato Tripoli, che da ieri sera è finita nel mirino dei dimostranti.
Nei giorni scorsi infatti manifestazioni e scontri sanguinosi si sono concentrati nella parte orientale del Paese, in particolare a Bengasi, dove sabato si è registrato l’episodio più grave: i militari, spalleggiati da truppe mercenarie fatte arrivare da altri paesi dell’Africa sub-sahariana, hanno sparato sulla folla con armi pesanti durante un funerale, provocando oltre 200 morti. Un bagno di sangue che si è rivelato un boomerang perché, non solo ha provocato la defezione di parte dell’esercito e di diversi capi tribali con la caduta di Bengasi e altre città dell’est, come al-Bayda, in mano ai dimostranti, ma ha anche facilitato l’arrivo a Tripoli della protesta di piazza.
Ieri sera c’erano già stati scontri nella capitale tra i sostenitori e gli oppositori di Gheddafi con diverse decine di morti e il figlio del colonnello, Saif al-Islam, è apparso alla tv di stato per mettere in guardia dalla possibile guerra civile. Saif ha da una parte offerto delle riforme politiche ma ha anche affermato che il regime “combatterà fino all’ultimo proiettile” contro gli “elementi sovversivi” che hanno provocato i disordini.
L’unico problema per Saif è che i proiettili sembra stiano finendo in fretta visto che ora dopo ora aumentano le defezioni nel regime. Quasi tutti i capi tribali si sarebbero già uniti all’opposizione, così come i più importanti leader religiosi e diversi ambasciatori. Così è ad esempio per Abdel Moneim al-Honi, inviato della Libia presso la Lega Araba, che ha annunciato di essersi “unito alla rivoluzione”, e anche per l’ambasciatore in India Ali al-Essawi, che si è dimesso per protesta contro la brutale repressione di Bengasi. Anche quello che era fino a un mese fa il  portavoce del governo, Mohamed Bayou, ha condannato le violenze dei militari. Nel frattempo, anche la più numerosa tribù libica, i Warfla, è passata dalla parte degli insorti mentre a Tripoli è in fiamme anche il palazzo del governo. Un’altra tribù dell’est, la al-Zuwayya, ha minacciato di bloccare l’esportazione di petrolio se le autorità continueranno “la repressione delle proteste”.
Appare dunque questione di ore la caduta ufficiale del regime libico, dopo 42 anni di regno incontrastato del colonnello Gheddafi, ma si teme che l’improvvisa evoluzione porti una situazione di anarchia con l’esplosione di nuove violenze incontrollate nei prossimi giorni. Peraltro lo stesso Saif al-Islam nel discorso di ieri sera aveva ammesso che a Bengasi e nelle altre città orientali molte armi pesanti erano passate in mano agli insorti.
La preoccupazione per cosa potrà accadere in Libia è palpabile anche Bruxelles dove è in corso il già programmato vertice dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea. Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha chiesto che la Ue elabori un piano d’azione complessivo per la regione, un “Piano Marshall per il bacino del Mediterraneo e Medio Oriente”, esprimendo la sua preoccupazione per il possibile avvento di uno Stato islamico in Libia.  “Potete immaginare cosa significhi avere un Emirato arabo islamico ai confini dell’Europa? – ha detto Frattini – Sarebbe una minaccia molto seria ed è per questo che dobbiamo considerare attentamente quanto avviene in Libia”.
La questione di cosa potrà accadere nei prossimi giorni è un grosso punto interrogativo perché in Libia la situazione è ben diversa da quella, ad esempio, dell’Egitto, dove la forza decisiva del regime è l’esercito. Da questo punto di vista la caduta del presidente Mubarak è servita a calmare la piazza e mantenere la stabilità del regime, saldamente in mano ai militari. In Libia invece il regime si identificava con il colonnello Gheddafi, capace di tenere sotto controllo le diverse tribù di cui è composta la popolazione. E l’esercito era solo uno strumento in mano al leader, peraltro anche limitato quanto a potere e numeri (in totale ne fanno parte 100mila persone). Gheddafi poteva contare soprattutto sulla fedeltà di due unità: la Milizia del popolo e la Guardia presidenziale. In queste ore – e soprattutto dopo il discorso in tv di saif – si dà per certa la frattura tra le diverse unità delle forze armate che, finora, erano considerate più vicine al figlio più vecchio di Gheddafi, Motasem (da La Bussola Quotidiana).

 

 

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