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Fattore Lega

Si avvicinano le elezioni europee, appena quattro mesi prima dell’avvio ufficiale della campagna elettorale. Si tratta di un appuntamento che merita la massima attenzione per gli equilibri che è destinato a determinare all’interno della coalizione governativa. A suscitare interesse è, più che mai, il rapporto di forza tra il Popolo della Libertà e la Lega Nord che, al di là di ogni speculazione, resta un alleato leale. Tuttavia non si può non tenere conto di una forza politica allenata da anni a fare politica e determinata a crescere. Ciò è avvenuto già in modo considerevole in occasione delle elezioni politiche 2008, quando la Lega Nord è cresciuta di ben un milione e quattrocento mila voti, dei quali un milione e duecentomila provengono da elettori che nel 2006 avevano scelto Forza Italia o An. Tale travaso di voti, peraltro, è avvenuto in tutte le regioni settentrionali, Liguria ed Emilia Romagna incluse, ma ha raggiunto livelli di allerta in Lombardia e soprattutto nel Veneto. Nella circoscrizione Veneto 1, ad esempio, la Lega è primo partito con il 28,1% e il PdL secondo al 27%. Sono dati che avrebbero dovuto far riflettere. La Lega in questi mesi ha saputo cavalcare meglio (e continua a farlo) del Popolo della Libertà temi come Malpensa. Ha rafforzato la propria rappresentatività in una regione come il Piemonte valorizzando Roberto Cota con il ruolo di capogruppo leghista a Montecitorio. Sarebbe un errore, tuttavia, valutare l’azione politica della Lega limitandola all’efficacia della propaganda o di alcune scelte promozionali: gran parte dei provvedimenti già assunti o di prossima assunzione da parte del governo Berlusconi (pacchetto sicurezza e federalismo in testa) sono ricondotte dall’intero corpo elettorale – piaccia o non piaccia – alla presenza nella maggioranza e nell’esecutivo della Lega Nord. Inoltre, come è noto soprattutto nelle più grandi regioni settentrionali, la classe dirigente leghista ha dimostrato e dimostra una notevole vivacità unita ad una ovvia facilità a veicolare messaggi populisti che però, in quanto tali, intercettano gran parte del sentire comune.Per contro il PdL ha, nel corso degli ultimi mesi, compiuto una lunga serie di errori: la sottovalutazione del caso Malpensa (anche oggi che si dà soluzione al nodo Alitalia), l’assoluta passività di fronte ad un governatore sempre più conflittuale come Galan, la mancanza di rappresentanza parlamentare per un gran numero di province sparse tra Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna. Inoltre, ancora una volta, si sta verificando una sorta di indebolimento dell’asse centrale della maggioranza – ieri Forza Italia, oggi il PdL – costretto a subire direttamente le tensioni che si scaricano sull’esecutivo. Sembra, in pratica, che solo al Popolo della Libertà spetti la necessaria dose di senso di responsabilità per affrontare, giorno per giorno, le difficili situazioni che si presentano. Bossi e soci, invece, appaiono più disinvolti: facile dunque prevedere che la campagna pro federalismo della Lega (anticipata dall’avvisaglia estiva d’amarcord per l’Ici e proseguita con l’intervista strappalacrime al leader leghista di alcune settimane fa in cui Bossi aveva parole buone per tutti da papà Tonino Di Pietro alle povere vittime pidiste della Tangentopoli 2) guarderà in primo luogo agli interessi della Lega, finendo per indebolire l’immagine dell’esecutivo. Del resto i leghisti sanno che l’opposizione è ai minimi storici e che il governo non è a rischio e si preparano dunque ad un nuovo incremento di consensi che dovrebbe avere ripercussioni – nelle padane intenzioni – sia sull’agenda politica della maggioranza che nella presidenza delle regioni settentrionali, vero sogno nel cassetto degli uomini del Carroccio. Nonostante il già eccellente risultato dell’aprile scorso, il trend storico della Lega dimostra che non è impossibile per Bossi superare quota 10% (conseguì infatti il 10,07% e 3.776.354 voti nel 1996) e che un eventuale crescita di consensi avverrebbe a scapito del PdL.
Don Baget Bozzo ha rilevato l’interesse con cui la Chiesa guardi, non da oggi, alla Lega e il fatto che Bagnasco abbia incontrato Maroni e che si accinga ad incontrare Bossi non può non destare attenzione.
C’è dunque un dato politico ineludibile ed è la competizione nella raccolta del consenso tra PdL e Lega. Esso non fa enfatizzato ma neppure – come è accaduto fino ad oggi – trascurato.Il PdL è e deve restare una grande forza moderata, specie in vista delle elezioni europee di giugno che sono il primo appuntamento elettorale nazionale successivo alle elezioni politiche: sarebbe assolutamente suicida abbandonare il centro proprio ora che il PdL lo presidia così saldamente.
Né tantomeno il PdL può inseguire i leghisti sulla scia di un linguaggio assai grossolano che, tuttavia, intercetta il senso comune del popolo nord e, a dire il vero, non soltanto di quello.
Occorre dunque, oltre alla presa di coscienza del fattore Lega, una ripresa di iniziativa politica – a partire dal tema centrale dell’immigrazione – che rafforzi ulteriormente il Popolo della Libertà e con esso tutta la maggioranza, garantendo così la necessaria stabilità al governo.

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