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Rileggendo Machiavelli, meglio evitare le congiure!

Poteva e può apparire del tutto superfluo un riferimento a Niccolò Machiavelli (1469-1527) per una rivista che ambisce ad essere proiettata nel futuro come A voce alta. Eppure c’è in molti di noi la convinzione che, per chi si interessa di politica, chi la maneggia, chi la fa o ritiene quanto meno di farla, le riflessioni di Machiavelli non siano soltanto attualissime, ma in ragione di ciò anche utilissime.
Poiché, poi, quando si pensa alla politica del Machiavelli, la memoria corre istintivamente al Principe, perhè non riferirsi ai meno divulgati “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”? L’autore, infatti, con il pretesto (si direbbe oggi low profile), di un commento a Livio, offre spunti di straordinaria vivacità culturale; proviamo a vederne assieme alcuni. I “Discorsi” volevano essere proposte politiche (consigli) per la realtà italiana di quegli anni, ma si adattano perfettamente anche ai nostri giorni.
Un esempio? Per molto tempo, giornalisti e politici hanno attribuito il cosiddetto fattore “C”, alias deretano, ossia buona sorte, a Romano Prodi. Bene, a questo proposito troviamo nei “Discorsi” che “dove gli uomini hanno poca virtù, la fortuna mostra assai la potenza sua”. Non c’è da stupirsi quindi a pensare ad un Machiavelli che, al posto nostro, sarebbe ben poco agitato dalla nascita del Partito democratico, giacchè, sin dalla fondazione di una città “si conosce la virtù dell’edificatore e la fortuna dell’edificato”. Niccolò Machiavelli tratta anche aspetti più delicati e complessi, con un nuovo modo di esprimersi (per il suo tempo), più idoneo a riflettere su ciò che accade nel mondo: in una parola più moderno.
All’appassionato ricercatore dei segreti della politica consigliamo dunque di leggersi tutta l’opera, con particolare riguardo al sesto capitolo del terzo libro dei “Discorsi”, intitolato “Delle congiure”. Il capitolo, da solo, vale un best seller, ma nel caso di Marco Follini avrebbe valso la faccia. L’autore, fin dalle prime righe, chiarisce come il tema, last but not least, sia delicatissimo: “Perché il poter far guerra aperta ad uno principe è conceduto a pochi, il poterli congiurare contro è concesso a ciascuno. Dall’altra parte, gli uomini privati non entrano in impresa più pericolosa né più temeraria di questa, perché la è difficile e pericolosissima in ogni sua parte. Donde ne nasce che molte se ne tentano e pochissime hanno il fine desiderato”. Basterebbero queste poche righe a scoraggiare una volta per tutte chiunque volesse arrischiarsi in una congiura.
Invece la Storia, come ben sappiamo, è piena di congiure, anche se, per la verità, proprio perché eccezione, siamo portati a conoscere e a ricordare quelle andate a buon fine (da Cesare a Mussolini, solo per fare due esempi tra i più noti). L’opera d’arte di Machiavelli regala consigli preziosissimi: intanto le congiure si fanno – spiega il pensatore fiorentino – o contro la patria o contro il principe. E il principe deve sapere che per non alimentare congiure contro di sé deve tenersi lontano dalle donne e dall’onore altrui. Poi Machiavelli ci ricorda che la congiura, per essere tale, deve essere progettata da più d’uno, ma – ammonisce – è assai più pericoloso se è articolata e fondata su troppe persone.
Infatti, il rischio che qualcuno si lasci “scappare”qualcosa è tanto più alto quanto maggiore è il numero dei congiurati.
L’autore porta anche esempi concreti, a lui più o meno “vicini”: dall’imperatore Comodo a Nerone, da Iacopo d’Appiano alla congiura dei Pazzi contro la famiglia Medici. Ed è l’epilogo di questo ultimo caso, tra i più famosi della Storia, a far riflettere l’autore che il fallimento è dovuto spesso al fatto che “manca l’animo a chi esequisce o per riverenza o per propria viltà dell’esecutore”. Gustosissimi sono quindi i molti episodi raccontati, come quello (fallito per “accidente”) con vittima predestinata il senese Pandolfo, al termine dei quali l’autore del Principe, con straordinaria lucidità ed anche una buona dose di cinismo, raccomanda che “quando le congiure sono deboli, si possono e debbono sanza rispetto opprimerle”; con una importante avvertenza: “Né può uno principe o una repubblica, che vuole differire lo scoprire una congiura a suo vantaggio, usare termine migliore che offerire di prossimo occasione ai congiurati, acciocché aspettando quella o parendo loro avere tempo, diano tempo a questo o a quella a gastigarli”. Ma se questo vale per il principe, per i congiurati vale ben altra regola, se possibile ancora più spietata di tutte quelle finora impartite dall’autore: l’ultimo pericolo, infatti, il congiurato lo corre dopo l’esecuzione. Nessuno deve sopravvivere per essere pronto a vendicare un domani la morte del principe!
Insomma, la congiura, da qualunque parte si voglia vedere, è davvero rischiosissima. Che sia una buona ragione per essere leali?

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